martedì 21 aprile 2020

BIKERFOREVER

Apro il pacco appena arrivato da Michele, primo editore, e osservo la copertina lucida verde, il bordo giallo, i grandi caratteri del titolo. Il mio nome la sopra. Lo faccio sfogliare fra le mani, per sentirne il rumore, e soprattutto l'odore. Ho trentasei anni, e mi sento appagato. Penso adesso in qualche modo il mondo forse si ricorderà in un minuscolo angolo di me.

Ho quarantanove anni quando su ai Cappuccini a Torino facciamo le foto con Marco per la copertina del quinto, da me trascinato in questa storia dello scrivere e pubblicare. Ho cercato di lasciare a lui le parti tecniche per tenermi il racconto. E' il mio fine, il mio desiderio di arrivo. Quella foto che poi finisce sulla copertina di un libro a mio avviso bellissimo e gestito come peggio si poteva dall'editore nella sua poca, pochissima distribuzione, la trovo da subito vera e giusta.

Adesso ne ho cinquantaquattro. Anzi mi mancano meno di tre settimane, ma io uso invecchiarmi ogni Capodanno, da sempre. Fuori piove, finalmente, per cui sono chiuso in casa come di rado avviene. Metto in ordine, sistemo cose, e mi torna in mente di quanto ho amato scrivere in questi anni. Che agli altri piaccia, che altri leggano, è del tutto irrilevante. Non voglio nè cerco consenso, nè amo la gente. Mi vanto della mia antipatia e asocialità, e qui oggi ce ne sarebbero da scrivere di cose. Che poi sono dette e ridette e diventano banali, per cui meglio non farlo.
Esce fuori il libro scritto per anni e terminato qui nella nostra casa di campagna, ormai forse un anno fa. Lì in una busta, un solo lettore, lei, mai la ricerca di uno che lo pubblichi, mai la proposta a qualcuno. E' mio, forse gelosamente mio. E magari piace solo a me, che ne so cosa vogliono leggere gli altri, pochi, che leggono.

Magari un giorno lo metto sul web, magari un giorno lo brucio, magari crepo e rimane lì pieno di polvere. Magari un giorno muovo il culo e vado proporlo. No, so già che tanto non lo faccio.

Capitolo 4: ""...omissis...Continuo a chiedere morfina tutta la notte, sono solo e piango.
Sono tre giorni che mi hanno operato, che sono rinato. Conosco la mia fisioterapista, finalmente. “Dai mettiti seduto”. La guardo pensando che è scema. “Non ci penso neanche”. “Sono tre giorni che ti hanno operato e non ti sei ancora alzato, quando pensi di farlo?” Non resisto “Ma sei scema o cosa?” Sono SOLO tre giorni”.
Mi tira su, mi gira e accompagna le mie gambe giù dal letto. Le accompagna delicatamente piegandomi le ginocchia lentamente, ho solo smorfie di dolore e dico solo “Piano, fai piano!”. Ormai il mio mondo era sdraiato, seduto tutto appare diverso, strano, mi sento in altissimo, ho le vertigini, mi viene da vomitare, svengo. Credo lei mi prenda al volo, mi risveglio che sono nuovamente sdraiato. Tra me e me penso, ma cosa pretende questa qua da uno con un femore a pezzi, pieno di morfina, con una emorragia interna che quasi lo ha ucciso? La odio.
“Ciao oggi facciamo due passi”. Un incubo, la mia fisioterapista è un incubo. Mi danno due stampelle appena mi alzo svengo, di nuovo mi risveglio sdraiato nel letto.
Luigi mi tiene compagnia, va e viene dal balcone dove fuma in continuazione, anche sua moglie mi parla, ma mi sento solo. Ho sempre in mente un verso di De André: quando si muore, si muore soli.
La mancanza di sonno continuo è durissima, le notti non passano, mai e poi mai.
“Dai, oggi facciamo un giro per il reparto”. Ormai sono rassegnato alle sue torture. Mi mettono su una sedia a rotelle, la gamba tesa ed orizzontale, seduto ho già il vomito che mi sale. Mi spingono in corridoio. “Dai alzati e va”. Mi alzo, le braccia tremano, tutto gira, sposto avanti una stampella cerco di fare un piccolo passo, svengo. Mi risveglio questa volta sulla sedia a rotelle. “Dai ci riproviamo ancora, su alzati e vai”. Accanto ho due ragazzi muscolati pronti a prendermi. Due passi e svengo. Svengo cinque volte e cinque volte mi fa ricominciare. La odio profondamente.
Molte telefonate, molte firme, ma alla fine una casa di cura vicino a casa mi ha preso. Trenta minuti di distanza, e ne parlano anche bene. I barellieri staccano i freni del letto, e partiamo. Guardo tutto, ogni dettaglio, ogni piccola cosa: il tavolino al mio fianco, il tavolo spoglio, la seggiolina in ferro. La piccola TV lcd, le mie poche cose. Guardo i muri, le pareti, il soffitto: nulla deve essere dimenticato, nulla e per sempre. Ogni minuto, ogni insignificante gesto non va dimenticato, ogni lacrima versata, ogni urlo, ogni parola. Gli occhi degli infermieri e delle infermiere, l’accento ligure, le parole di Luigi che già è tornato a casa, nulla, che io trovi la forza di non dimenticare.
Usciamo dalla porta scorrevole del Pronto Soccorso, c’è il sole e fa caldo: vedo l’azzurro del cielo e il verde di un grande pino marittimo sopra di me. Sento l’odore e il sapore dell’aria, sento i rumori della vita, le persone, le auto, gli uccelli sopra, il mondo.
Stringo forte il braccio della barelliera, e lei capisce. Si ferma un istante prima di chiudermi in ambulanza, mentre piango a singhiozzi.""


BikerForEver






giovedì 16 aprile 2020

KAGI TRADING

Lo vedo per la prima volta nel 2002, se ricordo bene, al casello di Albisola, giù in Liguria. Dietro ho messo una bici come sempre, non si viene in Riviera senza.
Questo ragazzo mite, un pò nerd, educato e cordiale, con gli occhiali da vista e nessuna concessione alla moda, mi piace da subito. Cristiano Raco, laureato in fisica e programmatore di sistemi. Una mente brillante, un immediata sensazione di familiarità.

Nel 2012 quando mi dice che non ce la fa più, che la carrozzeria dopo la morte di suo papà è troppo impegnativa da portare avanti insieme al trading, a me cade il mondo addosso. Come potrò stare senza sentirlo su Skype ogni mattina?
Dieci anni sono molti. Dieci anni a creare trading system per trovare un modo per fare i soldi per vivere sono molti di più. No anzi sono immensamente di più.
Mai una lite, mai una discussione vera. Un fratello, il mio fratello mancato.

Sono passati altri 8 anni, e non abbiamo mai smesso di sentirci. Non so nemmeno se ci siamo mai più visti da allora. Eppure per me rimane Cri, il mio fratello minore, quello con cui ci si sente tutte le mattine per parlare di Kagi e di sistemi.

Entrambi separati, entrambi padri, entrambi segnati per aver sotterrato il proprio padre, entrambi innamorati della nostra scelta definitiva, entrambi pieni di casini, entrambi ex del trading.

Questa sera mi sono messo sotto il gazebo con Elema in questa calda primavera, nel verde della nostra Ca' degli Ovi. Due bei calici pieni di bolle, un tagliere pieno di formaggi e salame, le nostre marmellate di verdure, la luna rossa e il tramonto. Mentre ascoltavamo le note tristi di una canzone di Ferretti, ho scritto a Cri, come tante volte faccio.

Lui mi ha mandato una foto, "Noi a lavorare...", c'era scritto sotto. E mi sono commosso.

Ho fatto oltre venti anni di corsi, ovunque, ho riposto a migliaia e migliaia di mail, e sempre la stessa domanda: Ma dopo?

Due lauree, due vite da trader, due vite come tante. Dopo solamente questo e nient'altro, la terra. Mi spiace, ma penso proprio che noi siamo avanti anni luce a voi. Non sai che gioia mi hai dato Cristiano, ci vediamo presto appena ci fanno uscire di casa. Ma questa volta davvero.


BikerForEver







martedì 17 marzo 2020

VELENO

Cinquantaquattro. Cinquantaquattro.

Cinquantaquattro anni.

Non ho mai fatto un giorno di taglia a scuola. No, dico uno. Mai.
Non mi sono mai drogato, nemmeno una cannetta, un pastiglietta, una striscina bianca. Mai.
Non faccio uso di farmaci, se non in condizioni gravissime. Entro in farmacia raramente, e lo facevo quasi solo per mia madre malata.
Non ho mai rubato nulla, pagando ogni cosa che ho comprato.
Mangio in maniera corretta, sempre. Faccio colazione da oltre quarant'anni con uno yogurt, muesli, due fette biscottate con marmellata, una tazza di té e un biscotto. Sempre.
Peso tra i 64 e i 66 chili da una vita. Sono stato più magro in ospedale malato, fine.
Non vado mai dal medico, non vado al Pronto Soccorso che in ambulanza, ovvero se mi sono fatto davvero male e sono un codice rosso.
Non abuso mai di integratori nonostante faccia sport seriamente, tanto che mi sento un Atleta, con la A maiuscola anche se non ho mai vinto un cazzo. I sali nella borraccia, qualche aminoacido ramificato ogni tanto, poi solo cose naturali.
Due anni fa con la mia compagna, Elema, mi sono trasferito in mezzo alla campagna, per un progetto di vita sana, in autoproduzione il più possibile, coltivando frutta e verdure, allevando oche e galline, per un mondo che torni ai genti lenti di un tempo e sia migliore.
Faccio sport, diversi sport, da sempre. Mi alleno seriamente da ventisette, dico ventisette anni, senza mai eccedere, plasmando un corpo grasso e flaccido in qualcosa che possa almeno vagamente dirsi atletico. Esco 5 volte a settimana, che piova, ci sia il sole, nevichi o che so io.
Non getto immondizie, mai. A volte, e più Elema di me, raccogliamo quelle degli altri. Faccio la raccolta differenziata sempre, e vado in discarica a scaricare il resto, non lo getto nei boschi.
Cerco da tredici anni di migliorare me stesso, umilmente, con l'aiuto di una psico terapeuta, per aiutarmi capire i mie genitori, i miei figli, e il resto del mondo.
Pago ogni mio errore sempre, e sempre carissimo. E anche quando non sbaglio, ogni mia scelta ha costi alti, che io pago sempre e da sempre solo con la fatica del mio lavoro.

E oggi, in quella che giudico essere la Terza Guerra Mondiale, quella scatenata non dalle armi ma dalla malattia, se esco in campagna a pedalare due ore come sempre con Elema, ridendo e scherzando, senza mai eccedere, ma per una ragione, una scelta di vita fatta di salute e costanza e disciplina e mai, MAI, di eccessi, devo farlo di nascosto per non essere insultato e giudicato da voi?
Voi che.
Voi che odiate l'Italia e gli Italiani e adesso cantate l'inno sul balcone.
Voi che fumate e sviluppate quindi patologie che andranno a pesare sui nostri ospedali.
Voi che vi abbuffate di cibo di merda e siete grassi, obesi, malati, patologici, depressi.
Voi giudicate gli altri e sputate sentenze dall'alto della vostra ignoranza, senza mai conoscere, leggere, capire, pensare.
Voi che gettate immondizia ovunque e ve ne fottete della natura.
Voi che avete schifo di mettere le mani nella terra o di spalare la merda degli animali, per poi andare al supermercato a comprare tutto nella plastica.
Voi che odiate i diversi, gli immigrati, chi fugge e poi appena vi cagate sotto due righe siete i primi a scappare.
Voi che "quando c'era lui" e adesso assaggiate il sapore amaro della privazione della libertà personale e manco capite.
Voi che vi ammassate negli ospedali, nei Pronto Soccorso, dai medici, anche se non  avete nulla e solo perchè avete bisogno di attenzioni.
Voi che fate la famiglia del Mulino Bianco e poi andate a puttane, oppure sbavate per farvi la collega d'ufficio di nascosto.
Voi che fate sport solo per farvi vedere, e non sapete avere uno stile di vita sano e corretto per scelta.
Voi che vi ammassate sui social e vi nascondete dietro una tastiera.
Voi, tutti voi e tutti gli altri voi che non ho più voglia di scrivere.

Che la malattia vi porti via da questo mondo e ripulisca la morale. Per il bene di chi resta.

BikerForEver




martedì 10 marzo 2020

PAMPHLET

Ho rotto gli occhiali da vista. Tre giorni fa li ho rotti e sto usando quelli di Elema, con cui vedo tutto sfuocato. Allora scendo a Valenza oggi e vado da due ottici per capire cosa spendo. Qua sono vacche magre, b&b vuoto e solo disdette ovunque, la piccola snc che amministro e mi permette di pagare i salatissimi alimenti sull'orlo del collasso, chiuderemo settimana prossima, e quindi i soldi devono essere contati,
La nostra Ca' degli Ovi lontano dal mondo e dalla gente, tra animali e orti, mi tiene lontano da tutto. Pochissima gente sul corso, aria di peste in giro. Entro nel negozio e mi fermano, aiuto c'è già una persona dentro, loro con guanti e mascherine fanno entrare un solo cliente per volta. Penso ci sono tre persone in giro e proprio qua dovevo trovarne una. Vabbeh, aspettiamo.
Mi dicono che non possono farmi gli occhiali perchè chiuderanno a brevissimo, forse domani. Devo rimanere cieco, non leggere notizie, non vedere il mio cellulare per comunicare con i miei figli che non posso e non voglio vedere per la nostra sicurezza.
Guardo le due commesse del negozio e mi viene pena. La mascherina serve solo se sei malato per non infettare gli altri ,a loro le mettono manco fossero appestate, si potrebbe stare in due nel negozio e anche di più, basta stare a un paio di metri di distanza. Ma no, qua è scoppiata la psicosi e quindi chiudiamo tutto, scappiamo da tutto.

Mentre mestamente vado a comprare il mangime per le galline, dove grazie a dio mi fa entrare senza paranoie, guardo la coda delle persone fuori dall'Esselunga, carrello in mano, perchè si entra  uno alla volta.
Non reggo, e scrivo sul post di un amico dove un coglione di turno vorrebbe il penale per chi è uscito in bici, quanto segue:
"Io vorrei fosse penalmente perseguito da sempre chi fuma, chi si fa, chi va dal medico continuamente, chi intasa inutilmente i Pronto Soccorso con codici bianchi e verdi, chi mangia in giro senza pensare alla salute, chi è sovrappeso, chi sta a fare aperitivi e after schifosi, chi inquina la campagna , i boschi e le montagne di immondizie gettate a terra, chi non porta i rifiuti in discarica, chi non fa sport e quindi ha pessima salute che Noi sportivi paghiamo nelle loro cure con le nostre tasse". E potrei andare avanti per pagine e pagine.



Elema cucina la nostra cena mentre io preparo il solito aperitivo casalingo. Noi facciamo come sempre. E come sempre bevo un liquore fatto a mano dalle mie mani mentre scrivo. Dicevo, mentre prepara le dico "sai quando mi sono rotto il femore nel 2012? Dopo 9 o 12 o chi si ricorda giorni mi mandarono al Trompone, arrivai e c'erano mia madre e mio padre ad aspettami che non vedevo dal giorno dell'incidente. Lei era sbronza come al solito, le gambe belle larghe per tenersi in equilibrio. Dopo che mi portarono i camera e mi misi nel letto da solo, ripeto da solo, sotto morfina per i dolori devastanti, lei mi fece la morale mentre bella sbronza usciva a fumarsi l'ennesima sigaretta, Le ho voluto un bene infinito, ma diceva a me che la dovevo smettere con la bici e le cose da ragazzino mentre si avvelenava e segnava una sua vecchiaia devastante, a totale carico del sistema sanitario nazionale."

Ignoranti e ipocriti, tutti.  Ripeto tutti. Quelli che danno dei coglioni a chi ci governa e poi adesso ne seguono le regole (interpretate alla cazzo oltretutto), quelli che fanno la morale e poi escono a fumare, quelli che mi rompono i coglioni e poi pubblicano l'ennesimo fake, quelli che giudicano senza ammettere i loro peggiori errori, Quelli che si mettono la mascherina ma svuotano il Supermercato così loro, solo loro, non restano senza provviste e chissenefrega degli altri, Quelli che vanno al bar in macchina a trecento metri da casa e poi mi dicono che se sudo due ore abbasso le difese immunitarie.

E detto fuori dai denti, senza giri di parole, come sempre ho fatto, quelli che non hanno avuto e non avranno mai i coglioni di fare le nostre scelte, di spaccarsi la schiena a tirar su la merda delle galline e coltivare verdure e frutta, per un mondo migliore che ne sbatte il cazzo della quinoa o del tofu, ma anche delle serate e dei centri commerciali. E che adora quello che fa, e che tratta piante e animali come se fossero i suoi figli, anzi un pò meglio visto che non rompono mai i coglioni.

Buon divertimento, ci vediamo nel mondo fallito che avrete creato e voluto.


BikerForEver

giovedì 20 febbraio 2020

LA CASSETTA DI VIMINI

Sto liberando l'appartamento dove viveva la mia mamma. Sono freddo e spietato come sempre, io non ho sentimenti per le cose, mi metto da parte quei pochi ricordi da tenere nel tempo, gli occhiali da vista, la sua sciarpa, un vestito, altre pochezze, e vado avanti. Lei si era circondata tutta la vita di una infinità di oggetti appartenuti a ogni parente che se ne andava e di altri comprati ovunque e ricordo di ogni momento della sua esistenza, e sapeva benissimo che io sono diverso. "Appena sarò morta Fabi si vende tutto", lo diceva sempre. Perchè per me quel circondarsi di cose di altri, di ricordi, di oggetti inneggianti a vite altrui ormai finite, era la sua condanna, la gabbia che le impediva di spiegare le ali e prendere quel volo che invece affogava nei suoi infiniti bicchieri.

Apro un ripostiglio vicino al bagno, dove ci sono i prodotti per la pulizia, gli stracci, insomma tutta roba da buttare, e noto su in alto una cassetta di vimini manco piccola. La guardo e non la ricordo, mi chiedo questa scatola da dove diavolo venga.



La tiro giù con cautela, pesa un sacco. La poso per terra sul parquet di casa, mi seggo a fianco e la apro. Stento a credere a quello che vedo.

Per anni, per decenni, potrei dire per tutta la vita, mia madre ha messo via ogni ricordo che mi potesse appartenere nel cuore. Ci sono le foto fin da bambini dei miei bisnonni, dei miei nonni, di mamma e papà, le mie, degli zii scomparsi 70/80 anni fa, le mie pagelle, le mie foto della laurea, una serie di cose senza valore ma preziosissime, che partono dalla fine dell'800 e si fermano alla morte di mio padre.
Stento a trattenere il magone, specialmente quando trovo un biglietto scritto a mano da lei quando ancora il tremore del Parkinson non le aveva tolto anche il piacere della scrittura, che mi racconta delle gare di bellezza con i cani di uno zio morto nel 1950.
Tolgo cose e trovo un libro di poesie scritto da mio papà a 18 anni, poi addirittura un piccolo romanzo, lettere d'amore e ogni altra cosa che lei giudicò essere appartenuta all'affetto più intimo di ogni persona della nostra famiglia.

"Cosa mi hai combinato mamma, mi hai fregato ancora, questa proprio non me la aspettavo". Non riesco a non parlare, a non dirlo.
Non esiste argento, gioiello, pezzo d'arte prezioso e unico che possa valere una di queste infinite foto, uno di questi incredibili ricordi.
Prendo su due foto che trovo bellissime, anche se ne potrei selezionare a centinaia di meravigliose, una che ritrae in una scena domestica qualsiasi mio bisnonno con mia nonna e mio padre bambino di una spontaneità favolosa, e una che ritrae mio nonno con mia nonna e sua sorella nella neve, in montagna, negli anni '30, gli sci piantati nella neve, un'aria di felicità serena, contenuta, senza eccessi.
Semplicemente scene di vita.Una vita che sa forte di montagna.





Sono freddo e spietato, un commerciante di qualsiasi cosa, lo sapevi bene mamma e hai fatto in modo da lasciarmi qualcosa che mi fermasse. La cassetta adesso è qua a Monte, stai serena, la custodiremo come il bene più prezioso che ci hai lasciato. Non sai quanto mi ha reso felice.

Ciao


BikerForEver

lunedì 10 febbraio 2020

TUTINE


Una foto a tradimento, mentre bevo una Coca, rigorosamente zero, appena conclusa la Marciagranparadiso a skating del venerdì, che ho corso in tutte le sue edizioni. Io vedo un vecchio, brizzolato, la testa oblunga come da giovane non avevo, gli occhiali da presbite per vedere il cellulare, la vena sulla fronte gonfia, la tutina da fondo, la mia medaglia del 69esimo posto inutile come sempre al collo.
Cinquantaquattro primavere quest'anno e ancora sto lì a correre. Prendo i numeri e i pacchi gara, la mattina prima di andare in griglia ho le solite diarree isteriche, mi massacro a volte per ore con battiti al limite della soglia in media, che vuol dire in termini comuni andare alla canna del gas sempre. Per arrivare lontano da qualsiasi podio nella stragrande maggioranza dei casi, o diciamo più onestamente praticamente sempre, nonostante le categorie, nonostante molti mollino, nonostante continui ad allenarmi non meno di cinque volte ogni santa settimana dell'anno.
L'amatore del merdesimo posto, ovvero io.

Corro, faccio gare insomma, in troppe discipline e lo so benissimo. La Mtb in tutte le sue sfumature, dal cross country alle infinite corse a tappe, lo sci di fondo, a skating e a classico, il winter triathlon, il duathlon cross, gli infiniti trail run, o sky race che si vogliano chiamare. Impossibile andare bene, e lo faccio anche per questo, perchè odio l'ansia prestazionale. Eppure mettermi alla prova a fianco degli altri, mettermi in gioco, tirare fuori tutto me stesso come solo con il numero addosso si può fare, continua a piacermi. E molto.
Come diceva un vecchio amico "io non vado in bici, io corro", e lo diceva a ogni giro con gli amici, anche se poi gare ne faceva poche.
Un atteggiamento, uno stile di vita. Dare sempre tutto, impegnarsi come fosse la prima volta, non pensare al trascorrere degli anni, sapere accantonare i mali della vita.

Qualche settimana fa, in un post che ha scatenato il solito "al rogo, al rogo" mediatico verso questo povero vecchio che ancora va in giro in tutina, uno dei tanti dementi da tastiera ha scritto come si vede qua sotto.


A parte che non sopporto che lo si chiami Faber, nell'anno passato ho fatto 22 gare su 267 volte che sono uscito a fare qualcosa. Pedalare, correre, sciare, salire su qualche montagna. Eppure questo basta a scatenare il giudizio, a far scrivere al coglione di turno che ho qualche problema.
Problemi che sinceramente fossero questi ne sarei anche orgoglioso.

Inadeguato, merdesimo, sempre in discipline che mi imbarazzano, sempre dietro, sempre non pronto. Se sapete leggere bene, si legge felice. Anzi felici, visto che siamo in due.


BikerForEver








giovedì 23 gennaio 2020

IL VUOTO



La prima volta che ho un ricordo lucido, concreto, avevo otto anni, mentre ti portavo sulle spalle su in casa al primo piano, che ti eri addormentata ubriaca nella tua FIAT 126 ruggine, nel pomeriggio. Papà non c'era, e io mi ero preoccupato e ti avevo portato su. Bofonchiavi e puzzavi di fumo e di alcool, odore che ha segnato tutta la nostra esistenza.

Da piccolo avevo paura delle tue ire alcooliche. Poi da adolescente abbiamo iniziato le liti, furenti. Quanti scontri, quanta mia rabbia per non riuscire a fermare quel tuo annegare. Persino la sera che sono corso da te a casa con papà che stava morendo, prima di chiamare l'ambulanza eri sbronza e io ti ho insultato senza pietà.

Ma poi il giorno dopo tutto passava, sempre, ogni volta, come nulla fosse accaduto, e io continuavo a vederti, mamma. Il caffè e la sigaretta, odori che non sopporto, e quel tuo sguardo dolce, meraviglioso che in fondo da sempre mi faceva sentire a casa.

Ci ho messo quasi cinquant'anni e tuoi infiniti tentativi di autodistruzione a capirti, ad accettarti per quello che eri, mia madre. Annegavi nel troppo fumo, nel troppo alcool, i tuoi troppi dolori della vita. Una infanzia tremenda, le tue sofferenze della vita, un matrimonio con papà durissimo, severo e troppo avaro di affetto per te, dolce come nessuno di carattere. Quell'uomo, papà, che tanto hai sofferto in vita, e che ha creato il vuoto assoluto dentro di te dopo la sua dipartita. Carceriere ed amore assoluto, tu donna davvero di altri tempi incapace di uscire da una situazione che ti soffocava. E tu respiravi a modo tuo, svenendo per terra dopo infiniti bicchieri di vino.

Quando otto anni fa siamo rimasti solo noi due, e ho imparato con calma ad accettarti e ad ammettere il mio amore giusto, corretto, da normalissimo figlio per te, ho avuto il dono più grande. Continuando a litigare, a urlare, mi hai regalato l'occuparti di te e delle tue tremende malattie. Ho sempre pensato che non esiste colpa al mondo che possa giustificare la tua sofferenza, Ho fatto davvero ogni cosa che potevo per tirarti fuori dalla voragine della depressione, ma sapevo, so, saprò sempre che quella era la tua strada, la tua corsa verso papà.

Chi sapessi essere, cosa sapessi essere, l'ho imparato dalle persone che ti hanno voluto bene, al di là dei parenti. Il tuo medico curante, la callista, la vicina di casa, le persone semplici che incontravano la tua infinita solitudine, che tanto si affezionavano a quella vecchina minuta, dai modi garbati, sempre sorridente e gentile. Una persona cara, come oggi mi dicono.

Hai smesso di soffrire, nel tuo povero corpo martoriato dalle malattie e dai chirurghi, e nella mente vuota senza l'unico uomo in grado di consolarla, pur essendo causa del tuo male di vivere. L'ultima cosa che mi hai detto, mentre passavo la mattina a guardarti nella tua sonnolenza della morfina in quel letto d'ospedale su al sesto piano dell'ospedale, imboccandoti mentre spalancavi la bocca sorridente, è stato "sei proprio sempre un bel ragazzo". Una mamma, la mamma. Ti ho salutato dicendoti "non scappare mi raccomando", hai sorriso e mi hai fregato come mille altre volte e te ne sei andata nella notte.

Domani andiamo su in collina, da papà, faremo buon viaggio.

Ciao.


BikerForEver