Sono seduto nei tavoli fuori in una bar decisamente fuori moda, sul tavolo due bicchieri di mirto con ghiaccio. Le case del corso sono alte, hanno cinque, sei, sette piani, sono grigie, vecchie, nessuna facciata è rifatta da decenni. Le imposte in legno ormai secco non hanno nè colore nè vernice. I muri scrostati portano i segni ancora adesso dei fucili, dei colpi, delle lotte per la liberazione mai avvenuta.
Ad una finestra, nascosto alla vista dei meno attenti dall'uniformità triste dei colori, un anziano in mutande, per il resto nudo, siede sul davanzale a cercare il fresco di questa sera d'estate.
Il corso non è invaso di gente, il turismo a Corti è discreto e silenzioso, quasi a non disturbare questo angolo di mondo fra le alte ed aspre, quasi inaccessibili, montagne della Corsica. Ci si siede nei bar, si cammina tranquilli senza vetrine particolarmente appariscenti da guardare, si gusta l'aria piacevole, ci si siede sotto un fico, sotto un platano a mangiare e bere birra, o mirto.
Davanti al bar, sul marciapiede opposto, davanti ad una scalinata che risale nei vicoli superiori al corso, sotto una vecchia fontana, quattro persone cantano e suonano. Sono canzoni antiche, sempre malinconiche, che parlano di amore, di montagne, di ribellione e rivoluzione, di feste di paese, di libertà.
Stiamo a lungo in questo bar, a bere mirto e a farci avvolgere dalla magia triste, malinconica, perduta, di questo mondo antico e totalmente fuori dal tempo. Parliamo poco tra noi, a volte io o Elema abbiamo gli occhi un pò lucidi preda dell'emozione di queste canzoni in una lingua così vicino all'italiano, per questo senso di patria, di sacrificio, di lotta per un ideale ormai completamente perduto nel nostro Paese. "Hanno lottato per duecento anni per tornare italiani, senza sapere cosa siamo diventati in realtà", mi dice giustamente Ele.
Oggi lasciate le bici da cx in macchina, con le Hoka ai piedi, lo zainetto sulle spalle e i bastoni nelle mani, abbiamo salito la Restonica, una valle di una bellezza non comune, ci siamo arrampicati per pietre, catene e scalette in metallo nel vuoto prima al lago di Melu e poi su ai duemila metri scarsi del lago di Capitellu, incastrato tra pareti di roccia scura che rendono le sue acque nere e imperscrutabili, ad incutere paura e rispetto ai pochi che si siedono sulla roccia ad osservarlo, in silenzio.
Domani andremo ancora a piedi a scoprire le gole del Tavignanu, altro posto con rari eguali e solcato da un torrente fresco e limpido.
Ma questa sera a Corti (o Corte alla francese), la Corsica, la sua gente mai simpatica e di poche parole, queste montagne, questi canti tristi, questa città antica e mal tenuta, cadente, ma di una bellezza che ti prende dentro, qualcosa credo in noi cambi, e forse ci permetterà anche un pò di capire.
Nove giorni che spero non scorderemo, persi a inseguire la Corsica lontano dal turismo di massa del mare, sempre sulle nostre bici da cx (o gravel che dir si voglia) perfette per scoprire e conoscere questa montagna tuffata nel mare, tra castani ed abeti, spiagge bianche e calanchi rosso fuoco, tra asfalti, strade sterrate, sentieri, portage, guadi, a duemila metri come in riva al mare, a volte a piedi per sentieri da trekking mai banali, di cene in casa innaffiate della loro birra di castagne, la Pietra, e in ristoranti sempre troppo cari, di tramonti sul mare e sui monti.
In una sola parola, tutto, a libertà.
BikerForEver