mercoledì 20 novembre 2019

TRAIL RUNNING

I crampi sono arrivati nell'ultima discesa, le gambe erano cotte dalle pendenze senza senso della seconda interminabile scalata nel bosco. Ho rallentato il ritmo, e in qualche modo sono riuscito a scendere. Ma ora questo ultimo chilometro abbondante asfaltato in leggera discesa prima del traguardo sarebbe da correre sotto i 5 al km, e io sono stanco.
Guardo il polso e leggo 6.15, non riesco ad accelerare, ma in fondo me ne frega poco.

Passo il traguardo mentre sento un "bravo Fabri" con la voce di Manuel e un metro dopo mi blocco come un cretino, piegato in due da questi crampi agli adduttori, muscoli che in bici nemmeno sai di avere. Due ragazze che ti mettono la medaglia di legno al collo davvero simpatica con su scritto "4 Chiese Trail Solo Per Caviglie Forti" mi parlano "vuoi che chiamiamo il medico?" Sorrido e le rassicuro "ma no un minuto e passano dai, sapeste le volte che li ho avuti", e lentamente mi tiro su e riprendo a camminare.
Mi volto e vedo Elema che mi viene incontro, ha corso il 13 km e quindi è arrivata prima di me che ho dovuto digerire un 20km per quasi 1500 di dislivello. Sorride, è serena, le chiedo solo "allora ti è piaciuto", lei seria "sì, molto".

Mi basta. Non volevo altro che vederle quello sguardo, sentire quelle parole. Ho messo un passo dietro l'altro, in salite ripide e discese tecniche piene di pietre per tre ore e mezza, senza pensare ad altro, "mi piace, mi piace quello che sto facendo".

Un nuovo mondo davanti a noi, finalmente. Un nuovo mondo da affiancare al pedale, proprio ora che è ora di mettere paraffina sotto gli sci stretti. In attesa che i prati tornino a fiorire, per tornare a correre.


BikerForEver









mercoledì 30 ottobre 2019

INVECCHIARE GIOVANI

Guardo questa foto. La barba ormai bianca. Il volto stanco e tirato. Le occhiaie, profonde, scavate dalla fatica del mio primo Trail, sotto una pioggia battente, nella nebbia, nel fango. I capelli resi ancora più radi dall'acqua presa per ore. Capelli senza colore, nè scuri nè veramente bianchi.

Guardo questa foto. Vedo il mio corpo ancora magro, teso nello sforzo di una salita ripida, rocciosa e viscida. Vedo le mie mani, nel gesto inusuale forse tra chi corre a piedi, ma classico di chi pratica da una vita lo sci di fondo, della spinta a mano chiusa che lentamente si apre a rilasciare il bastone dietro alla schiena.

Guardo questa foto. E vedo solo i miei occhi, e quegli occhi li conosco, li ricordo, io fin che avrò quegli occhi non ho mai mollato, e non mollerò mai.



Guardo i miei vestiti, così inusuali, lo zaino con le borracce, i bastoni, i pantaloni da trekking, il k-way e i guanti da bici, la fascia del Sudafrica, di quella Joberg che non posso scordare, in testa come ogni volta che voglio salire, quel numero altissimo, 2609, appeso li davanti, per controllarne l'altimetria.

Sono passati 10 giorni dal mio primo Ultra Trail del Lago d'Orta, e mi sale ancora un nodo in gola a guardare questa foto. Sei ore e ventiquattro minuti di emozione profonda, sperso in mezzo a centinaia di persone infinitamente più esperte di me, meglio vestite di me, con meno mal di gambe di me, eppure sereno, convinto, preciso, senza pensieri se non porre un passo dopo l'altro.

Assolutamente me. Solamente grazie a chi mi ha accompagnato in questo nuovo mondo.


BikerForEver










mercoledì 2 ottobre 2019

BIVACCHI E BASTONI

Il respiro è affannato, la pietraia infinita, la nebbia attorno avvolge ogni cosa, nessun rumore, nessun colore. Freddo umido che non sento più, i bastoni non fanno presa sulle rocce, uso le mani per tirarmi su e continuare a salire. Pietraie, creste, canalini, sfaciume, la montagna che più amo, quella oltre la vita, sopra ogni cosa, dove è solo pietra e ghiacci.
Appare una macchia grigia, appare una macchia rossa. A volte gialla, più raramente è di pietra e legno. Io li amo di latta, colorata o no che sia. I tiranti di ferro tesi a proteggerli dalle tempeste di vento e neve, la porta chiusa, mai un minimo segno di rifiuti, una pala per la neve appesa a fianco della porta. Che apro rispettosamente, a scoprire questo micro mondo fatto di legno che odora forte, coperte vecchie, una tanica d'acqua, qualche busta di thé, delle scritte, una targa, delle vecchie brande con spesse coperte di lana. Sei, otto posti di norma, a volte anche solo quattro. Una targa, una foto dell'alpinista cui è intitolato, null'altro.
Mentre aspetto Nico, che si era fermato un attimo a respirare mentre io ero preda della foga del salire, appoggiata la schiena alla macchia rossa che chiamano bivacco Borghi, la nebbia si dirada e sotto il blu improvviso del cielo appaiono i ghiacci aggrappati alle rocce. E io, che sono solo e ancora affannato, vengo preso forte dall'euforia, vado di qua e di la, non riesco a stare fermo, come fossi un bambino che vede il suo primo parco giochi.

Sento forte questa esigenza di salire, che sia la conquista del colle, del bivacco o della cima. Poco importa. Quello che conta è salire, affannarmi, usare mani e bastoni, guardare oltre, guardare dentro, guardare attorno. Che sia montagna, meglio se alta, altissima. Voglio l'odore della quota, ne voglio il sapore mentre mordo carne secca.

Lontane le ruote, lontano l'agonismo, le sfide, i fuori soglia, il mio mondo avuto per anni. Io, i miei bastoni, le scarpette, i ramponi nello zainetto con poche altre cose, meglio se con Nico, Ele, ma anche solo, quel che conta è salire più forte che posso e vedere oltre. Per scendere e soffrire i dolori del corpo e della mente c'è sempre tempo.


BikerForEver













lunedì 26 agosto 2019

A LIBERTA'



Sono seduto nei tavoli fuori in una bar decisamente fuori moda, sul tavolo due bicchieri di mirto con ghiaccio. Le case del corso sono alte, hanno cinque, sei, sette piani, sono grigie, vecchie, nessuna facciata è rifatta da decenni. Le imposte in legno ormai secco non hanno nè colore nè vernice. I muri scrostati portano i segni ancora adesso dei fucili, dei colpi, delle lotte per la liberazione mai avvenuta.
Ad una finestra, nascosto alla vista dei meno attenti dall'uniformità triste dei colori, un anziano in mutande, per il resto nudo, siede sul davanzale a cercare il fresco di questa sera d'estate.
Il corso non è invaso di gente, il turismo a Corti è discreto e silenzioso, quasi a non disturbare questo angolo di mondo fra le alte ed aspre, quasi inaccessibili, montagne della Corsica. Ci si siede nei bar, si cammina tranquilli senza vetrine particolarmente appariscenti da guardare, si gusta l'aria piacevole, ci si siede sotto un fico, sotto un platano a mangiare e bere birra, o mirto.
Davanti al bar, sul marciapiede opposto, davanti ad una scalinata che risale nei vicoli superiori al corso, sotto una vecchia fontana, quattro persone cantano e suonano. Sono canzoni antiche, sempre malinconiche, che parlano di amore, di montagne, di ribellione e rivoluzione, di feste di paese, di libertà.





Stiamo a lungo in questo bar, a bere mirto e a farci avvolgere dalla magia triste, malinconica, perduta, di questo mondo antico e totalmente fuori dal tempo. Parliamo poco tra noi, a volte io o Elema abbiamo gli occhi un pò lucidi preda dell'emozione di queste canzoni in una lingua così vicino all'italiano, per questo senso di patria, di sacrificio, di lotta per un ideale ormai completamente perduto nel nostro Paese. "Hanno lottato per duecento anni per tornare italiani, senza sapere cosa siamo diventati in realtà", mi dice giustamente Ele.

Oggi lasciate le bici da cx in macchina, con le Hoka ai piedi, lo zainetto sulle spalle e i bastoni nelle mani, abbiamo salito la Restonica, una valle di una bellezza non comune, ci siamo arrampicati per pietre, catene e scalette in metallo nel vuoto prima al lago di Melu e poi su ai duemila metri scarsi del lago di Capitellu, incastrato tra pareti di roccia scura che rendono le sue acque nere e imperscrutabili, ad incutere paura e rispetto ai pochi che si siedono sulla roccia ad osservarlo, in silenzio.
Domani andremo ancora a piedi a scoprire le gole del Tavignanu, altro posto con rari eguali e solcato da un torrente fresco e limpido.






Ma questa sera a Corti (o Corte alla francese), la Corsica, la sua gente mai simpatica e di poche parole, queste montagne, questi canti tristi, questa città antica e mal tenuta, cadente, ma di una bellezza che ti prende dentro, qualcosa credo in noi cambi, e forse ci permetterà anche un pò di capire.

Nove giorni che spero non scorderemo, persi a inseguire la Corsica lontano dal turismo di massa del mare, sempre sulle nostre bici da cx (o gravel che dir si voglia) perfette per scoprire e conoscere questa montagna tuffata nel mare, tra castani ed abeti, spiagge bianche e calanchi rosso fuoco, tra asfalti, strade sterrate, sentieri, portage, guadi, a duemila metri come in riva al mare, a volte a piedi per sentieri da trekking mai banali, di cene in casa innaffiate della loro birra di castagne, la Pietra, e in ristoranti sempre troppo cari, di tramonti sul mare e sui monti.

In una sola parola, tutto, a libertà.


BikerForEver

















martedì 6 agosto 2019

IL CAVAL DONATO



Ieri avevo preso una bella cotta nel tappone da 4000 metri di dislivello. La salita del Monte Cimone dopo sei ore di mountain era stata un calvario, faceva troppo caldo per me ed ero arrivato un pò troppo indietro per i miei gusti. Meno male che il sonno era stato lungo e continuo la notte.
Eppure ora sto bene, ma davvero bene. Guardo avanti e so che oggi è il mio giorno, lo avevo capito al briefing ieri sera, oggi non è la solita tappa da Stage Race, tanta salita scorrevole, un pò di single track, un pò di tecnica ma da stare sempre in sella, oggi no, oggi è montagna vera, e qua io sono a casa.
Davanti ai miei occhi una cresta infinita di prato, in cima a questo Appennino bellissimo, penso saremo poco sotto i 2000 metri. La traccia è dura, scavata nell'erba, ci sono pietre fisse che spesso obbligano a scendere dalla bici, e se provi a stare in sella devi lavorare duro di schiena e di braccia. Poi si entra in mezzacosta, a tratti un pò esposto, ma di prato scosceso, volo con la mente su all'Invernieux in quei pezzi dove mi gira la testa ma ho imparato a stare in sella.

Passo una coppia, poi un'altra, poi altri che mai avevo preso nei giorni precedenti e che so mai più prenderò. Perchè la Appenninica Stage Race è una corsa di mtb, non una follia per cicloalpinisti come l'Iron. E mi sale la rabbia per aver corso la gara più adatta a me al mondo nel mio peggior stato di forma in dieci anni e con una caviglia come un melone dopo solo 3 giorni, che mi ha costretto a farla tutta in difesa, solo per salvare quell'orgoglio che mai mi fa mollare. "Ah come vorrei tornare all'Iron se solo avessi qualche anno di meno", mi dico ad alta voce mentre mi carico la bici in spalla per qualche metro mentre mi metto a correre in salita sulle pietre là dove so che molti hanno arrancato.

La discesa mi piace, passaggi davvero difficili sulle rocce, trail ripidi, non fatemi smettere, fatemi continuare così  e so io quanti ne mettevo in fila quando la fatica avrebbe offuscato la vista, confuso il cervello, reso le gambe molli nelle discese dove devi non avere paura.

Quando vedo il traguardo di tappa a Porretta Terme me lo gusto appieno, sono felice, ho il cuore pieno, ho voglia di parlare, di raccontare, di mettermi qualcosa sotto i denti. Lo so, io non vado un cazzo, ma oggi mi sono sentito volare, oggi come mi dice la ragazza francese con cui parlo, era ossigeno, per la mente e per l'anima.







Scorreranno anche i giorni a venire, gli otto giorni della Appenninica arriveranno alla fine, passerà la tappa a cronometro e le tappe al caldo, anche se sempre inaspettatamente belle di questa prima edizione organizzata meravigliosamente da Milena e Beppe e il loro favoloso staff, e arriverà Ele ad accompagnare l'ultima tappa ad anello a Bagno di Romagna corsa coi nervi più che con le gambe grazie a lei che mi aspettava a gridare "Forza ovetto" sulla sua gravel.

Arriverà il traguardo e un secondo posto nei Solo over50 totalmente immeritato per me che non vado avanti e che solo la buona sorte mi ha regalato. E una serie di premi di tappa e finali da me mai visti, fra risa, felicità, abbracci e calici di vino a festeggiare una corsa che spero solo abbia la forza di resistere nel tempo e che vorrei tutti onorassero della loro presenza, perchè questi ragazzi lo meritano davvero.

Mi porto a casa quindi questo immeritatissimo podio che io non vedo mai, ma a caval donato non si guarda in bocca e quindi me lo metto nelle cose buone e e fortunate della mia vita a pedali. Ma mi porto a casa soprattutto la tredicesima maglia finisher di una grande corsa a tappe, e non è poco e di questo ne vado orgoglioso. Anche in questi 15500 metri di dislivello scalati non ho mollato, anche se ho corso in maniera matura, cosciente, senza affanni inutili, andando ogni volta a riprendere i miei rivali là dove sapevo di poterlo fare ed essendo paziente là dove mi staccavano, senza mai cadere o avere il minimo danno. Senza lacrime e commozioni ormai nel cassetto alla mia età, ma con il cuore pieno lasciato lassù in quei prati in quota del quarto giorno, in un posto che mai dimenticherò.

Ringrazio davvero lo sponsor Valerio D'Orsogna per aver voluto ancora questo vecchietto, abbraccio i miei compagni di Team, e in particolare, non me ne volete, Lorenzo con cui ho diviso lunghe chiaccherate mai banali nelle nostre serate al Camp e cui auguro una carriera in mtb come davvero merita, chi ha giocato alla gara con me e la mia ovetta che ha diviso con me tre giorni dell'Appenninica con la solita infinita pazienza e dedizione.
Se non ci fossi tu nulla sarebbe la meraviglia che è, grazie di cuore.


BikerForEver.