I battiti sul cardio sono altissimi. Salgono, salgono, leggo 174, erano anni che non vedevo un valore simile. Scaccio il pensiero di avere una fibrillazione, e che sia solamente questo sforzo immane.
I piedi affondano nella neve molle, a volte cede e mi trovo giù fino all'anca. Respiro a fatica, i 2900 metri di quota rendono la bici pesantissima.
Sono passati solo tre giorni dal lungo trail che ho fatto con Manuel, cinque ore e mezza sulle creste delle montagne valsesiane. Lui a dettare il ritmo e la corsa davanti, io a tenere duro. E la stanchezza è ancora nelle gambe, ora la sento chiara e forte.
Le nuvole basse e bianche unite al bianco della neve rendono tutto ovattato, strano, la testa gira e non poco, non è facile mantenere l'orientamento.Non vedo null'altro che bianco, eppure lo so che il colle è li davanti da qualche parte. "Lorenzo tranquillo so dove siamo, fidati". Si volta e mi guarda sorridendo, o forse sta solo nascondendo un sano odio. Ieri lo aveva detto, "guarda che danno temporali violenti in quota da mezzogiorno in poi", ma io non ne avevo voluto sapere, ormai ero partito con la mente per il viaggio.
Siamo a meno di 5 metri dalla cima, cinque stupidi metri, ma assolutamente verticali. Il muro di neve caduta questo inverno sul Pontonnet sembra insuperabile, mi volto e vedo il lunghissimo scivolo del nevaio che scende lungo il vallone di Fenis. "Se cadiamo ci fermiamo prima o poi, dai", usando un finto ottimismo.
Scavo con la punta la neve ghiacciata per formare un gradino. Poi un altro poco sopra. Ma appena tiro su la bici la neve cede e scivolo d'accapo. Lorenzo mi guarda fiducioso, sono io la guida di casa e sa che so cosa devo fare. Mi giro, faccia a valle, e uso i talloni per scavare i gradini, perchè le punta delle dita sono gelate e fanno male. Funziona, anche se fa un pò effetto guardare sotto e pensare se perdo l'equilibrio, sento che i gradini si formano. Salgo forse un metro, un metro e mezzo, mi sento sicuro afferro la bici e la lancio in cima al muretto di neve a conficcare il manubrio nella neve in modo che si ancori e non cada. Funziona. Vedo un sorriso sincero sul volto di Lorenzo.
Continuo a scavare coi talloni delle scarpe da bici e a salire. Ho i ramponcini nello zaino, ma non li ho messi subito e adesso non si riesce più. Ma salgo, caspita salgo, arrivo alla bici, la prendo su e la rilancio oltre, su dove la neve è piana e molle. Si aggrappa di nuovo, è fatta.
Ci guardiamo attorno, nessuno è mai passato in quella neve quest'anno, non si vede nemmeno un'idea di una impronta. Ridiamo, le nuvole si aprono un pò, vediamo cosa ci aspetta: una distesa infinita di nevai, tutta la discesa verso Cogne è a Nord e ancora immacolata. Ridiamo ancora. Scattiamo una paio di foto, cerchiamo di respirare il più a fondo possibile quello che vediamo. Mi seggo congelandomi e mi metto i ramponcini, voglio divertirmi a scendere.
Ci guardiamo in faccia a lungo, sappiamo senza parlare. La salita è finita, il temporale e la grandine sono passati, il freddo ha lasciato il posto alla sana soddisfazione della cima raggiunta. Capiamo subito che questa giornata rimarrà lì tra le cose da ricordare, quelle da raccontare nelle sere fredde dell'inverno. Prendiamo la bici e ci gettiamo giù scivolando e ridendo nella neve, Cogne ormai non è più un miraggio.
Pont St. Martin-Cogne via Colle Pontonnet. Tanta salita, tanta neve, tanta soddisfazione. Io e Lorenzo, a venirci incontro le nostre vite, Elena ed Ely. Giugno 2020.
Ho iniziato a placare la mia sete, ma sembra non passare mai.
BikerForEver