giovedì 20 febbraio 2020

LA CASSETTA DI VIMINI

Sto liberando l'appartamento dove viveva la mia mamma. Sono freddo e spietato come sempre, io non ho sentimenti per le cose, mi metto da parte quei pochi ricordi da tenere nel tempo, gli occhiali da vista, la sua sciarpa, un vestito, altre pochezze, e vado avanti. Lei si era circondata tutta la vita di una infinità di oggetti appartenuti a ogni parente che se ne andava e di altri comprati ovunque e ricordo di ogni momento della sua esistenza, e sapeva benissimo che io sono diverso. "Appena sarò morta Fabi si vende tutto", lo diceva sempre. Perchè per me quel circondarsi di cose di altri, di ricordi, di oggetti inneggianti a vite altrui ormai finite, era la sua condanna, la gabbia che le impediva di spiegare le ali e prendere quel volo che invece affogava nei suoi infiniti bicchieri.

Apro un ripostiglio vicino al bagno, dove ci sono i prodotti per la pulizia, gli stracci, insomma tutta roba da buttare, e noto su in alto una cassetta di vimini manco piccola. La guardo e non la ricordo, mi chiedo questa scatola da dove diavolo venga.



La tiro giù con cautela, pesa un sacco. La poso per terra sul parquet di casa, mi seggo a fianco e la apro. Stento a credere a quello che vedo.

Per anni, per decenni, potrei dire per tutta la vita, mia madre ha messo via ogni ricordo che mi potesse appartenere nel cuore. Ci sono le foto fin da bambini dei miei bisnonni, dei miei nonni, di mamma e papà, le mie, degli zii scomparsi 70/80 anni fa, le mie pagelle, le mie foto della laurea, una serie di cose senza valore ma preziosissime, che partono dalla fine dell'800 e si fermano alla morte di mio padre.
Stento a trattenere il magone, specialmente quando trovo un biglietto scritto a mano da lei quando ancora il tremore del Parkinson non le aveva tolto anche il piacere della scrittura, che mi racconta delle gare di bellezza con i cani di uno zio morto nel 1950.
Tolgo cose e trovo un libro di poesie scritto da mio papà a 18 anni, poi addirittura un piccolo romanzo, lettere d'amore e ogni altra cosa che lei giudicò essere appartenuta all'affetto più intimo di ogni persona della nostra famiglia.

"Cosa mi hai combinato mamma, mi hai fregato ancora, questa proprio non me la aspettavo". Non riesco a non parlare, a non dirlo.
Non esiste argento, gioiello, pezzo d'arte prezioso e unico che possa valere una di queste infinite foto, uno di questi incredibili ricordi.
Prendo su due foto che trovo bellissime, anche se ne potrei selezionare a centinaia di meravigliose, una che ritrae in una scena domestica qualsiasi mio bisnonno con mia nonna e mio padre bambino di una spontaneità favolosa, e una che ritrae mio nonno con mia nonna e sua sorella nella neve, in montagna, negli anni '30, gli sci piantati nella neve, un'aria di felicità serena, contenuta, senza eccessi.
Semplicemente scene di vita.Una vita che sa forte di montagna.





Sono freddo e spietato, un commerciante di qualsiasi cosa, lo sapevi bene mamma e hai fatto in modo da lasciarmi qualcosa che mi fermasse. La cassetta adesso è qua a Monte, stai serena, la custodiremo come il bene più prezioso che ci hai lasciato. Non sai quanto mi ha reso felice.

Ciao


BikerForEver

lunedì 10 febbraio 2020

TUTINE


Una foto a tradimento, mentre bevo una Coca, rigorosamente zero, appena conclusa la Marciagranparadiso a skating del venerdì, che ho corso in tutte le sue edizioni. Io vedo un vecchio, brizzolato, la testa oblunga come da giovane non avevo, gli occhiali da presbite per vedere il cellulare, la vena sulla fronte gonfia, la tutina da fondo, la mia medaglia del 69esimo posto inutile come sempre al collo.
Cinquantaquattro primavere quest'anno e ancora sto lì a correre. Prendo i numeri e i pacchi gara, la mattina prima di andare in griglia ho le solite diarree isteriche, mi massacro a volte per ore con battiti al limite della soglia in media, che vuol dire in termini comuni andare alla canna del gas sempre. Per arrivare lontano da qualsiasi podio nella stragrande maggioranza dei casi, o diciamo più onestamente praticamente sempre, nonostante le categorie, nonostante molti mollino, nonostante continui ad allenarmi non meno di cinque volte ogni santa settimana dell'anno.
L'amatore del merdesimo posto, ovvero io.

Corro, faccio gare insomma, in troppe discipline e lo so benissimo. La Mtb in tutte le sue sfumature, dal cross country alle infinite corse a tappe, lo sci di fondo, a skating e a classico, il winter triathlon, il duathlon cross, gli infiniti trail run, o sky race che si vogliano chiamare. Impossibile andare bene, e lo faccio anche per questo, perchè odio l'ansia prestazionale. Eppure mettermi alla prova a fianco degli altri, mettermi in gioco, tirare fuori tutto me stesso come solo con il numero addosso si può fare, continua a piacermi. E molto.
Come diceva un vecchio amico "io non vado in bici, io corro", e lo diceva a ogni giro con gli amici, anche se poi gare ne faceva poche.
Un atteggiamento, uno stile di vita. Dare sempre tutto, impegnarsi come fosse la prima volta, non pensare al trascorrere degli anni, sapere accantonare i mali della vita.

Qualche settimana fa, in un post che ha scatenato il solito "al rogo, al rogo" mediatico verso questo povero vecchio che ancora va in giro in tutina, uno dei tanti dementi da tastiera ha scritto come si vede qua sotto.


A parte che non sopporto che lo si chiami Faber, nell'anno passato ho fatto 22 gare su 267 volte che sono uscito a fare qualcosa. Pedalare, correre, sciare, salire su qualche montagna. Eppure questo basta a scatenare il giudizio, a far scrivere al coglione di turno che ho qualche problema.
Problemi che sinceramente fossero questi ne sarei anche orgoglioso.

Inadeguato, merdesimo, sempre in discipline che mi imbarazzano, sempre dietro, sempre non pronto. Se sapete leggere bene, si legge felice. Anzi felici, visto che siamo in due.


BikerForEver