E' un giorno qualsiasi di febbraio, il clima troppo mite di questo mancato inverno. Il sole scalda, la terra è asciutta e secca, la gravel scorre bene anche se so benissimo che non è bene per la campagna che vedo attorno. Sono da poco sceso dalla collina di casa, guardo avanti senza sinceramente pensare a nulla. Mi suona il cellulare che ho nella tasca posteriore sotto lo smanicato, di norma sono sempre scocciatori, ma sempre vuoto di pensieri mi fermo e rispondo, non metto mai le cuffiette mentre pratico qualsiasi sport. Ele prosegue rallentando.
"Buongiorno, la disturbo? Sento che è in bici". "No, no, mi dica pure". "E' uscita la sentenza di divorzio". E seguono parole e spiegazioni tecniche, considerazioni, i soliti appena può ci vediamo e approfondiamo la cosa.
Dopo quasi sette anni di attesa è arrivata questa telefonata, in un momento qualsiasi, come è giusto che fosse. Non nego di aver pensato molto a questo momento, e di averlo atteso davvero. Quante reazioni avevo supposto, quante emozioni avevo immaginato. Saluto, rimetto il telefono in tasca, e mi accorgo riprendendo a pedalare che non me ne sale nessuna. La sensazione sovrana è sommamente indifferente. Mi avvicino a Ele riprendendo la bici, che nel frattempo era un pò tornata indietro a vedere cosa succedeva, mi affianco, non dico nulla. Attendo la sua curiosità femminile, che non stenta troppo ad arrivare.
"Allora?". "Non ci crederai, è arrivato il divorzio". Mi guarda, nessuno dei due sembra aver voglia di parlare, di esprimere una soddisfazione più che umana e corretta. Mi esce solo un "Beh almeno adesso posso crepare, la mia eredità andrà a chi voglio io e non a lei finalmente".
Sette anni di cattiverie indicibili, accuse, cause, tribunali, commissioni tecniche, psicologi, rabbie, ansie e insonnie, la mia faccia invecchiata di troppi anni, mia madre difesa coi denti dagli attacchi ed oggi sepolta, i figli coinvolti assurdamente, i rapporti spesso impossibili. Ce ne sarebbe da scrivere non uno, ma mille libri, ma ora nessuna particolare emozione. Penso che quando ti fanno troppo male alla fine perdi la forza di reagire.
Ho le mie colpe, ho i miei difetti, ho le mie piccolezze e pochezze. Ho anche la certezza che se queste cose ci sono, le ho pagate ad un prezzo davvero assurdo, e sarà perche ho fatto oltre un decennio di analisi, ma proprio non mi sento in colpa di nulla. E questo è forse l'aspetto di cui sono più vanaglorioso.
Mi chiedo solo una cosa:
"...e alla fine di tutto questo?"
Cosa rimane quando hai distrutto ogni lato positivo anche il più marginale di una relazione di venticinque anni? Aveva senso questa guerra? E quella che ancora seguirà, ne sono certo, perchè già son qui che attendo il prossimo attacco.
Alla fine di tutto questo, non rimane nulla dentro. Rimangono i figli, almeno quelli, rimane quella stanchezza che solo le guerre lasciano. Rimane qualche grana ancora da sistemare. Il resto sono macerie bruciate.
Rimane soprattutto la mia vita, la mia seconda vita con Elema. Rimane da prenotare una cena di quelle da ricordare, e che sia innaffiata di buon vino.
BikerForEver