giovedì 23 gennaio 2020

IL VUOTO



La prima volta che ho un ricordo lucido, concreto, avevo otto anni, mentre ti portavo sulle spalle su in casa al primo piano, che ti eri addormentata ubriaca nella tua FIAT 126 ruggine, nel pomeriggio. Papà non c'era, e io mi ero preoccupato e ti avevo portato su. Bofonchiavi e puzzavi di fumo e di alcool, odore che ha segnato tutta la nostra esistenza.

Da piccolo avevo paura delle tue ire alcooliche. Poi da adolescente abbiamo iniziato le liti, furenti. Quanti scontri, quanta mia rabbia per non riuscire a fermare quel tuo annegare. Persino la sera che sono corso da te a casa con papà che stava morendo, prima di chiamare l'ambulanza eri sbronza e io ti ho insultato senza pietà.

Ma poi il giorno dopo tutto passava, sempre, ogni volta, come nulla fosse accaduto, e io continuavo a vederti, mamma. Il caffè e la sigaretta, odori che non sopporto, e quel tuo sguardo dolce, meraviglioso che in fondo da sempre mi faceva sentire a casa.

Ci ho messo quasi cinquant'anni e tuoi infiniti tentativi di autodistruzione a capirti, ad accettarti per quello che eri, mia madre. Annegavi nel troppo fumo, nel troppo alcool, i tuoi troppi dolori della vita. Una infanzia tremenda, le tue sofferenze della vita, un matrimonio con papà durissimo, severo e troppo avaro di affetto per te, dolce come nessuno di carattere. Quell'uomo, papà, che tanto hai sofferto in vita, e che ha creato il vuoto assoluto dentro di te dopo la sua dipartita. Carceriere ed amore assoluto, tu donna davvero di altri tempi incapace di uscire da una situazione che ti soffocava. E tu respiravi a modo tuo, svenendo per terra dopo infiniti bicchieri di vino.

Quando otto anni fa siamo rimasti solo noi due, e ho imparato con calma ad accettarti e ad ammettere il mio amore giusto, corretto, da normalissimo figlio per te, ho avuto il dono più grande. Continuando a litigare, a urlare, mi hai regalato l'occuparti di te e delle tue tremende malattie. Ho sempre pensato che non esiste colpa al mondo che possa giustificare la tua sofferenza, Ho fatto davvero ogni cosa che potevo per tirarti fuori dalla voragine della depressione, ma sapevo, so, saprò sempre che quella era la tua strada, la tua corsa verso papà.

Chi sapessi essere, cosa sapessi essere, l'ho imparato dalle persone che ti hanno voluto bene, al di là dei parenti. Il tuo medico curante, la callista, la vicina di casa, le persone semplici che incontravano la tua infinita solitudine, che tanto si affezionavano a quella vecchina minuta, dai modi garbati, sempre sorridente e gentile. Una persona cara, come oggi mi dicono.

Hai smesso di soffrire, nel tuo povero corpo martoriato dalle malattie e dai chirurghi, e nella mente vuota senza l'unico uomo in grado di consolarla, pur essendo causa del tuo male di vivere. L'ultima cosa che mi hai detto, mentre passavo la mattina a guardarti nella tua sonnolenza della morfina in quel letto d'ospedale su al sesto piano dell'ospedale, imboccandoti mentre spalancavi la bocca sorridente, è stato "sei proprio sempre un bel ragazzo". Una mamma, la mamma. Ti ho salutato dicendoti "non scappare mi raccomando", hai sorriso e mi hai fregato come mille altre volte e te ne sei andata nella notte.

Domani andiamo su in collina, da papà, faremo buon viaggio.

Ciao.


BikerForEver



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