domenica 3 maggio 2020

CINQUANTASETTE

Ho aspettato cinquantasette giorni per scrivere. Cinquantasette giorni a ragionare cosa mettere sulla mia inutile pagina che leggo ormai praticamente solo io.
Volevo parlare dello schifo dei ciclisti, di quelli che mi hanno rotto i coglioni cinquantasette giorni fa che se andavo in bici poi cadevo, se correvo poi mi rompevo una caviglia, che infettavo tutti andando da solo per boschi e colline e campi, che era sbagliato "divertirsi" in bici mentre la gente moriva nei "Pronti Soccorsi", che tanto per dieci giorni di rulli ero un egoista e basta. Volevo scrivere di come io mi son segnato tutti i loro nomi, a uno a uno, e che devono loro togliermi dai coglioni su facebook perché io manco ci penso, mi serve osservarli per ridere, ridere di gusto della loro meschina essenza.

Ho aspettato cinquantasette giorni per dire cosa penso della follia del genere umano, che disprezzo nella maggior parte dei suoi componenti, dei flash mob, degli inni dal balcone, delle messe all'altoparlante mentre io bestemmio, della bandiere dell'"Itaglia", della paura che pervade novantanove individui su cento, del fatto che io non mi mischio alla gente e metto la mascherina se vado tra di loro, ma non sono ridicolo a metterla da solo o in auto, del fatto che circa 1300 decessi su oltre 33 milioni di abitanti in sto cazzo di Paese sotto i 50 anni non sono un'epidemia, anzi sono un numero ridicolo ed è più pericoloso, molto più pericoloso farsi un giro in macchina, e tante altre cose.

Invece dopo cinquantasette giorni io non riesco a non pensare ai nostri vecchi.

Guardavo sempre le enormi mani di mia nonna. Grandi e tremanti, forti e segnate dal tempo. Si sedeva a tavola dopo aver servito tutti e si incrociava le dita girando i pollici, accarezzandoli dolcemente. Una volta, una sola volta, le vidi pettinarsi i lunghi capelli bianchissimi per una volta sciolti dal perenne chignon e la trovai una cosa meravigliosa. Magra, magrissima, in sottoveste di seta bianca, ormai ben oltre gli 80, si pettinava innanzi lo specchio del suo bagno, luogo che io faticavo a frequentare reputandolo in un certo modo sacro.
Nonna veniva da famiglia ricca e aveva l'ascensore che arrivava al piano a Torino. Si fermava e suonavo il campanello, mentre entrava nella cabina già l'odore inconfondibile del suo cibo, lei lentamente arrivava, girava più volte la chiave facendo rumore, apriva la porta in legno e mi abbracciava. Forte, molto forte per un tempo lunghissimo.

Non riesco a togliermi da dentro le immagini di mia madre da vecchia. Il suo corpo disfatto, la sua infinita depressione, l'odore insopportabile delle sue mille sigarette, il suo bicchiere sempre pieno di vino bianco a qualsiasi ora del giorno, il suo accento torinese troppo forte mentre mi mi diceva "Ciao Fabi, come va gioia?", le sue macchie scure sul viso e sul corpo dovute a un fegato devastato, i suoi occhiali da vista sempre storti sul viso, il suo incedere lentissimo, tutto storto, spingendo il carrellino fin che le forze glielo hanno permesso.

Ricordo ogni istante di mio padre ormai vecchio e malato di cancro, della mia adorata prozia mentre seduta come sempre si fumava l'ennesima Marlboro creando l'ennesimo maglione ai ferri per qualche nipote, i sorrisi, gli sguardi, le parole dei tanti vecchi nella casa di riposo dove mia madre è stata due mesi meno di un anno prima di andarsene, i loro "Buongiorno", "Buonasera", "Pinuccia è arrivato tuo figlio".

Non riesco a non pensare come quelli che oggi sono ancora o sono stati i nostri vecchi, hanno costruito la nostra libertà dopo l'altra follia, quella devastante del fascismo e della guerra, costruendo quella cazzo di Costituzione che ho sempre creduto fosse la base della mia, mia personalissima libertà. Quei miei vecchi che hanno risparmiato per anni e anni e mi hanno lasciato qualcosa, pur non togliendosi ogni desiderio che io sono contento che abbiano soddisfatto, sempre senza eccessi da buoni piemontesi.

Non ho cantato l'inno, non lo canterò mai per una nazione che non rispetto per quella che è ora. Una maledetta nazione che non ha protetto, come sempre, come ogni volta, i nostri vecchi, la nostra memoria, la nostra genesi. Non ho esposto ipocrite bandiere, non ho rotto i coglioni a nessuno, e continuerò a starmene per i cazzi miei con Elema lontano dal mondo, in qualche bosco o su qualche montagna, con la mente che se ne va a pensare ai miei vecchi.

Ma ho cantato con lei Bella Ciao. E ogni volta mi viene il magone.


BikerForEver