martedì 11 agosto 2020

GRANPA


Le mani sono appoggiate alla roccia. La schiena è curva, vorrei accovacciarmi ma non posso, per cui cerco di tenermi per lo meno un pò basso. I piedi sono ancora sulla roccia precedente, i ramponi grattano sulla pietra dura e levigata dai venti. Provo uno strano misto tra paura e meraviglia, stupore. Nessun segno di panico, assolutamente, solo una sana, normalissima paura del vuoto. La corda è alla mia destra, sono ben saldo di mani e di piedi, non c'è oggettivamente nessun rischio. Il vento tira come nella norma oltre i 4000 metri, ma non fa freddo. Nonostante questo un pò di calo termico arriva, anche dovuto al sudore e alle lunga attesa per mettere in sicurezza la nostra cordata di quattro persone. Attorno a me la meraviglia da sempre sognata, inseguita, mancata per mille infiniti motivi, e paure. I ghiacci, le creste, la parete di centinaia di metri di vuoto alla mia sinistra, il vuoto della cresta che sprofonda nel mitico crepaccio terminale alla mia destra. Dietro di me la leggendaria Madonnina bianca, i 4061 metri di quota, dove poco fa io, Ele e Ricky ci siamo abbracciati per la foto più bella che per anni abbiamo immaginato. Nuvole che iniziano a cumulare alte nel cielo coprono i monti lontani, la Francia. Ma qua, il Granpa, è ancora illuminato dal sole accecante di agosto, e la luce che avvolge le varie vette del massiccio è una sensazione inspiegabile. Il vuoto assurdo attorno quasi sparisce dalla sensazione che la cima di Ceresole, la Testa di Valnontey, la Tribolazione, gli Apostoli e tutte la altre vette che da oltre cinquant'anni accompagnano i miei occhi giù a Cogne, siano vicinissime. E' un insieme assoluto, provo dentro un'emozione fortissima. Mi sale il magone, il riso, il silenzio, la battuta idiota, senza che io possa controllarne il diluvio.





Mentre vivo questa gigantesca onda emotiva, osservo Elema che, spronata da Alex, la nostra buona guida che ci ha permesso di arrivare fino in punta, inizia la cengia nel vuoto assoluto che ci porterà verso l'inizio della discesa, in parete, larga non più di una spanna, i talloni dei ramponi che non ci stanno e affondano nell'aria del nulla sotto di lei, la corda assicurata al chiodo di tenuta, i suoi passi laterali lenti, il viso che lascia vedere nette sensazioni mai provate, le mani a tenersi nelle piccole crepe della roccia innanzi al suo volto. Un pò mi viene da ridere, di quel riso che sta tra la follia e la coscienza di essere esattamente dove vorresti essere pur avendone il sacro terrore. Io ho paura, una fottuta paura del vuoto, che da sempre combatto per poter vivere il mio infinito amore per la montagna, la quota, le Alpi, le vette. Mi volto e vedo Ricky sicuro, e dietro a lui un uomo con la figlia, col caschetto da roccia, che attendono pazienti per passare. Lei ha gli occhi chiari e lo stesso sorriso nostro un pò ebete, che tutti in fondo qua abbiamo. Guardo in basso i miei piedi, per vedere che i ramponi non scivolino sulla roccia, e vedo la mia gamba sinistra che trema. "Ricky guarda. ho le gambe che fanno Giacu-Giacu come diceva mia nonna" e mi metto a ridere. Dentro in fondo non ho paura, anche se sono spaventatissimo, e il mio ginocchio ha molta più paura di me, in fondo la mia testa è più forte del mio povero e vecchio corpo, posso assolutamente farcela.

Avevo 11 anni nel 1977 quando arrivai al crepaccio terminale con mio padre, accompagnati da mio zio, suo padre e una anziana guida amica di famiglia. Allora era tutto diverso, il ghiacciaio era intatto e semplice, non devastato di crepacci e ferito come lo è oggi. Sono stati 43 anni di attesa per arrivare oltre quella enorme crepa, che oggi abbiamo attraversato su una scaletta di metallo da brividi, per coronare un sogno, di quelli veri. E sono stati due anni ad allenare la mente al vuoto, alla sopportazione di quella meravigliosa sensazione che provi mentre sali tenendoti a una corda fissa, a una catena, sali un posto che ti pare impossibile. O meglio che mi pare, mi pareva, impossibile.


Ognuno di noi ha le sue paure, i suoi limiti, i suoi sogni. Io i miei li ho finalmente passati a 54 anni. Forse Elema a 45, non so Ricky. Ma so, ne sono certo, sicuro oltre ogni sicurezza possibile, che i loro occhi tradivano una emozione pazzesca. Quella emozione che ora vorrei raccontare, che ho provato a raccontare, ma che so che mai sarò in grado di raccontare. Perchè, per immensa fortuna, solo mentre sei lì la puoi provare, entra dentro di te, si mette lì in un angolo e non se ne andrà mai più.

Lunedì 10 agosto, io, Elema, Riccardo e la guida Alex, cima del Gran Paradiso in giornata da Pont, via ghiacciaio sopra lo Chabod, 4061 metri di quota. Partiti alle ore 4, al crepaccio terminale alle 9.30, sulla vetta alle 10.15, sotto la grandine in discesa. Null'altro, ovvero tutto.


BikerForEver