giovedì 31 dicembre 2020

NUMERI E CIME

Fuori fa freddo, senza mezzi termini, siamo diversi gradi sotto lo zero. In giro il deserto umano e il silenzio, le nuvole si stanno abbassando a coprire i monti. Io ed Ele siamo qua tranquilli, fra poco sarà una buona soupetta e qualche bicchiere di Muscat de Chambave.
Si chiude un anno dove siamo stati davvero fuori dai coglioni, che ci ha reso molto più poveri, ma di certo non meno duri e veri.
Dopo il primo bicchiere di vino mi viene da scrivere per non dimenticare.

Partiamo dai numeri. I miei 54 anni di vita sono stati:
267 giorni di sport
187290 metri di dislivello scalati in 662 ore a pedalare, correre e sciare
68000 scalati a piedi, 9000 sugli sci da fondo, gli altri in bici, molto spesso in gravel
6 gare, mai così poche, mai così diverse: un winter triathlon, un duathlon cross, due nello sci di fondo (una a skating una ad alternato), un trail, un ultra trail.

Per la prima volta da 30 anni in qua non ho mai corso in mountain bike nè in bici in genere. Che bello cambiare anche se si è vecchi, mi sale persino un moto di orgoglio. Sempre merdesimo ma mai banale.

Ma soprattutto questo benedetto 2020 è stato alcune cose che vanno molto al di là dei numeri. 

Io ed Elena abbiamo scalato molte cime e colli sopra i 2500 metri. A piedi scoprendo emozioni nuove ed intense. Lo Zerbion, lo Chaberton, la Becca di Nona, il Rocciamelone, il GranParadiso, i colli dell'Arietta, dell'Arolla, del Malatrà e molto altro. La gioia di arrivare in punta è stata impagabile, sempre.

Ho corso il mio primo WinterTri, ma soprattutto il mio primo ultra. Sono arrivato sulle ginocchia in preda a una crisi scandalosa, ma mi avessero detto che sarei stato capace di correre per 60 km con oltre 3000 d+ per sentieri solo un anno fa, mi sarei messo a ridere.

Abbiamo lavorato molto nella nostra piccola Ca' degli Ovi e fatto tante cose buone, dalle marmellate ai liquori, dalle ristrutturazioni ai nostri amati animali.

Ho passato molto tempo con i miei figli che crescono sempre più. O almeno a me sembra così.

Ho seppellito mia madre. Ed ora sono il più vecchio rimasto.

Direi che basta. Da domani inizia il cinquantacinquesimo, ma di fatto non cambia nulla.


BikerForEver




mercoledì 16 dicembre 2020

DELLA CULTURA E DELL'IGNORANZA


"Ascoltami, i poeti laureati si muovono soltanto fra le piante dai nomi poco usati: bossi, ligustri o acanti. Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi fossi dove in pozzanghere mezzo seccate agguantano i ragazzi qualche sparuta anguilla: le viuzze che seguono i ciglioni, discendono tra i ciuffi delle canne e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni. (...)"

Ero da poco maggiorenne quando sciorinavo a memoria I Limoni di Montale, senza battere ciglio fino alla fine di questa lunga poesia che amavo sopra ogni altra. Al liceo ero un ottimo studente, anche se in fondo studiavo abbastanza poco, e all'ora della maturità quando mi sentirono commentare pieno di entusiasmo ogni verso non ebbero dubbi di accompagnarmi al mio doveroso 60 sessantesimi.

Leggevo molta poesia, e leggevo in genere. E potevo usare la mia cultura anche per avvicinare le ragazze, che mi vedevano senza diffidenza per questa gentilezza e consapevolezza. E di certo la cosa non mi dispiaceva. Poi fu l'Università così odiata, la costruzione di un lavoro mio fuori da ogni regola e istituzione, fu lo studio della statistica applicata alla Borsa, senza mai sopire quella voglia di scrivere, di leggere, in fondo perchè no di cultura.

Sono passati 35 anni da quando decantavo davanti alla commissione la mia conoscenza di Montale o che so, Gozzano, e mi è tornato in mente oggi, mentre pedalavo solo sulle colline dietro casa, molto fango per terra, una pioggia fine, il freddo dell'inverno addosso. Mentre spingevo la mia mtb, guardavo per terra e ripetevo "Ascoltami, i poeti laureati...", e guardavo con attenzione, anche per stemperare la fatica della salita che mi diventa ogni giorno più ostica ormai, per terra. Le pietre, la traccia del trattore, l'erba, il fango, la terra. Guardavo le rive, quegli erbosi fossi che mi martellavano in testa.

Ho continuato a pedalare sempre più infangato fino a casa, come uno di quei ragazzini che giocavano, un tempo, nelle pozzanghere. Continuando a non crescere, a rifiutarmi di crescere, a cercare di non crescere. Per trovare sempre, e comunque, quel contatto continuo con la terra, con i posti che nessuno nota, le foglie marce, una rete vecchia e caduta, una pianta spoglia e secca.

Ripensando all'ennesimo covidiota che ho gentilmente mandato a stendere togliendomelo di torno oggi, rifletto forte, ora che sono a casa, alla questione della cultura. Questa persona, laureata e di fluente inglese, non si capacitava della mia laurea unita al mio complottismo. E proprio il fatto di credersi superiore per studi, professione e lingua, metteva in ridicolo la sua accusa. Che io di complottista o negazionista ho ben poco, io mi sono solamente rotto i coglioni di non guadagnare, di non poter lavorare, di essere privato della mia libertà personale (che credevo costituzionalmente garantita sopra ogni cosa) in nome di una malattia che sì esiste, ma che è pericolosa solo per chi già male sta, soprattutto se molto avanti con gli anni. E che ha messo in luce tutta la povertà e bassezza intellettuale e morale della classe politica intera non in grado di mandare avanti un Paese già di suo vicino alla marcescenza. Senza saper accettare la malattia, in nome dei "posti letto", delle "terapie intensive", senza mai saper leggere la statistica, che è lì che urla la verità senza mai essere ascoltata.

Spesso si tende a credere che la cultura, la conoscenza, avvicini le genti alla saggezza. Che mai credo è stato più lontano dalla realtà. La saggezza è arte dei poveri e dei semplici molto più che dei colti e  degli studiati. Lo so da sempre, anche se da poco l'ho messo bene bene a fuoco. Cosa c'è di più saggio del comportamento animale? Quanto mi sa insegnare una osservazione costante e attenta della vita sociale delle mie galline o delle mie oche è quanto di più vicino al mondo dei saggi possa avere. Oppure dalla coltivazione delle piante, dalla loro cura, dall'osservazione della loro crescita e sviluppo quanta saggezza si esprime? Mi chiedo, quanti in percentuale del nostro popolo hanno mai osservato con attenzione lo sguardo lineare degli animali. Mi chiedo, quanti hanno mai guardato con attenzione gli occhi di un gallo? Quanta saggezza esso sa esprimere? O ancora mi chiedo, quanti hanno mai osservato come si comporta un animale che sa che è il suo tempo di morire, nella ricerca di un luogo tranquillo, nel suo non lamentarsi, nel suo accettare con calma l'arrivo della fine?

Oggi più che di ieri, e spero sempre meno di domani, cercherò la saggezza nell'ignoranza degli erbosi fossi, e nelle pozzanghere dopo una giornata di pioggia. Il resto, la cultura, la lascio ai poeti laureati, che se ne possano riempire la bocca ed anche la troppa pancia.


BikerForEver