Una corsa a tappe degna di questo nome è un viaggio, da un punto ad un altro. Ci si sposta ogni giorno, e ogni giorno si deve lottare contro il proprio fisico per arrivare alla sede di tappa del giorno seguente. Ed è un viaggio dentro di sé, a capire dove la tua mente può arrivare per domare le sofferenze del corpo in nome della gioia.
Non mi si venga a dire che si può organizzare una cosa simile tra amici e provare le stesse emozioni. Siamo sinceri e guardiamoci negli occhi: attaccare il numero al manubrio cambia ogni cosa, ogni prospettiva. La mattina quando pieno di dolori, dopo la sveglia all'alba e una colazione con la nausea per qualsiasi cibo, entri in griglia e ti guardi attorno, non hai amici, hai rivali. Che sai benissimo daranno l'anima per arrivarti davanti, così come la darai tu. Tutto diventa una sfida la cui rinuncia diviene per te un dramma, e che ti farà sopportare cose che altrimenti mai accetteresti.
Perchè ogni mattina la sveglia alle 6 ti trova distrutto, perchè 6, 7, 8 ore o anche di più in sella per sentieri, forestali, mulattiere, guadi, pascoli, single track da capre e qualche amatissimo tratto in asfalto, sono una cosa serissima se non ti aiuti con farmaci o altre schifezze. Perchè dormire nel Camp, tende o palestre in 200 persone una accanto all'altra, tra odori e rumori di ogni tipo, non è facile, come non lo è fare le code per i gabinetti, per le docce, per lavare la MTB coperta di fango, per fare colazione o cenare. Ogni giorno tutto uguale, ogni giorno più stanco, ogni giorno felice perchè esisti, perchè ci sei, perchè sai che quei 7 giorni ti rimarranno dentro come se fossero stati mesi.
Con nella testa settimane degli anni passati pregne di questi ricordi, quest'anno con Roby (al secolo Roberto Davò, milanese e biker di quelli veri e puri, 104 anni in due, mica dei ragazzini) ho corso la Transpyr Epic Coast to Coast, circa 800 km, di vero offroad duro e tecnico con circa 20.000 metri di dislivello positivo per partire dal Mar Mediterraneo, a Roses sotto Barcellona, e arrivare sul Mar Atlantico a Hondarribia, superando infinite salite e montagne sui Pirenei.
Abbiamo pedalato, spinto, portato in spalla la bici, attraversato guadi e pedalato per ore nella melma e nell'acqua, sotto acquazzoni e sotto il sole, per oltre 100 km. al giorno, su percorsi che devasterebbero chiunque se fatti uno solo al mese. Ripartendo invece ogni giorno, per arrivare dall'altra parte del continente, lottando con gente di ogni parte del mondo, uniti dalla stessa insaziabile passione. Abbiamo dormito in paesi di montagna dai nomi da noi pressoché sconosciuti, Camprodon, Seu d'Urgell, El Pont de Suert, Ainsa, Jaca, Roncisvalle, insieme ad altri 350 biker, uniti in coppia come ogni corsa a tappe che si rispetti. Perchè in MTB a tappe si corre in coppia, ed è un'altra delle cose meravigliose ed assurde, bisogna sopportarsi, capirsi, unirsi, in qualche senso anche amarsi, per essere una grande coppia. Non basta la gamba, non basta la tecnica, serve altro, molto altro.
Impossibile raccontare una corsa simile, una esperienza simile, una amicizia simile. Si diventerebbe melensi o didascalici, e non si onorerebbe l'impresa.
Per questo solo dei flash, come ora vengono alla mente:
La bomba d'acqua del primo giorno, al 100esimo chilometro, con tutto che si inonda in un attimo, gli occhiali che non servono più, il gps che non si vede più, il freddo che attacca le ossa, la consapevolezza che sarà dura, durissima.
Il sentiero del secondo giorno a 1700 metri di quota di melma, con la bici in spalla e i piedi che affondano fino al polpaccio, un solo chilometro diventato eterno.
La forma fisica del terzo giorno, con noi due vecchi biker che attacchiamo, la prima salita di 25 km. a tirare il gruppo e arrivare in cima, voltarsi e vedere che non ha retto nessuno, il cuore che si riempe tronfio di orgoglio, la discesa alla morte in un sentiero tecnico al punto che in una gran fondo lo vieterebbero, l'arrivo dopo altre infinite salite con l'abbraccio tra noi pieno di reciproca stima.
Gli ultimi 20 km del quarto giorno, sul sentiero più lungo e tecnico che mai entrambi avessimo fatto in 20 anni di onorata carriera e passione delle ruote grasse, mentre urliamo per la felicità e l'eccitazione, e sentendo urlare alle spalle mi accorgo che siamo in 4 ad essere gli umani più felici del mondo, e allora spontaneamente urlo "Where are you from?" e sento una sola risposta univoca "New Zeland", ovvero l'altra parte del mondo, uniti da una striscia di terra, pietre e radici e mai così vicini, mai.
La crisi e la sofferenza del quinto giorno, quanto si blocca la mia schiena e perdo ogni forza nelle gambe, non parlo per oltre due ore mentre piango in silenzio distrutto nel fisico e nel morale, per poi rinascere in un prato a 1600 metri coperto di fiori gialli meravigliosi che si tuffa in un sentiero da sogno aggrappato alla parete.
Il fango del sesto giorno, e la nostra esperienza che viene fuori mentre pedaliamo l'ennesima salita, infinita, per ore in un autentico acquitrino portandoci a un risultato di tappa veramente importante.
La cena alla Casa del Pellegrino di Roncisvalle con gli altri amici italiani, ormai ebbri di gioia perchè manca un solo giorno.
Il sentiero di terra rosso ocra che divide un bosco di felci in quota dell'ultima tappa, un contrasto di colore indescrivibile, con i cavalli liberi al pascolo che ti guardano mentre ti sembra di volare.
Noi dopo l'arrivo, in spiaggia in costume, chini nell'Atlantico a riempire la seconda metà del botticino mezzo pieno d'acqua del Mediterraneo che per giorni avevamo portato con noi nello zaino idrico, simbolo della nostra missione, e sentire finalmente arrivare la quiete, dopo la lotta.
Oltre 50 ore di MTB purissima e tecnica in 7 giorni, di cui 40 cronometrati per arrivare ottavi tra i Master (oltre 80 anni a coppia) e primi italiani, oltre ad essere 26esimi assoluti su circa 180 coppie partite da Roses, per correre la Transpyr 2014, di certo la più bella ed emozionante gara in mountain bike che io abbia mai fatto, evento enorme gestito meravigliosamente da uno staff di 100 spagnoli.
Momenti indimenticabili trascorsi, divisi, assaporati e vissuti oltre che dentro di me, per farmi una persona migliore, insieme al mio strepitoso compagno Roby, agli amici di sempre Loca, Borellik e Riska, ai giovani Ricky e David e a tutti gli altri biker di ogni nazione che come noi si sono commossi ad indossare la sognata, e meritata, maglia Finisher.
BikerForEver
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