Guardo questa foto. La barba ormai bianca. Il volto stanco e tirato. Le occhiaie, profonde, scavate dalla fatica del mio primo Trail, sotto una pioggia battente, nella nebbia, nel fango. I capelli resi ancora più radi dall'acqua presa per ore. Capelli senza colore, nè scuri nè veramente bianchi.
Guardo questa foto. Vedo il mio corpo ancora magro, teso nello sforzo di una salita ripida, rocciosa e viscida. Vedo le mie mani, nel gesto inusuale forse tra chi corre a piedi, ma classico di chi pratica da una vita lo sci di fondo, della spinta a mano chiusa che lentamente si apre a rilasciare il bastone dietro alla schiena.
Guardo questa foto. E vedo solo i miei occhi, e quegli occhi li conosco, li ricordo, io fin che avrò quegli occhi non ho mai mollato, e non mollerò mai.
Guardo i miei vestiti, così inusuali, lo zaino con le borracce, i bastoni, i pantaloni da trekking, il k-way e i guanti da bici, la fascia del Sudafrica, di quella Joberg che non posso scordare, in testa come ogni volta che voglio salire, quel numero altissimo, 2609, appeso li davanti, per controllarne l'altimetria.
Sono passati 10 giorni dal mio primo Ultra Trail del Lago d'Orta, e mi sale ancora un nodo in gola a guardare questa foto. Sei ore e ventiquattro minuti di emozione profonda, sperso in mezzo a centinaia di persone infinitamente più esperte di me, meglio vestite di me, con meno mal di gambe di me, eppure sereno, convinto, preciso, senza pensieri se non porre un passo dopo l'altro.
Assolutamente me. Solamente grazie a chi mi ha accompagnato in questo nuovo mondo.
BikerForEver
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