Appare una macchia grigia, appare una macchia rossa. A volte gialla, più raramente è di pietra e legno. Io li amo di latta, colorata o no che sia. I tiranti di ferro tesi a proteggerli dalle tempeste di vento e neve, la porta chiusa, mai un minimo segno di rifiuti, una pala per la neve appesa a fianco della porta. Che apro rispettosamente, a scoprire questo micro mondo fatto di legno che odora forte, coperte vecchie, una tanica d'acqua, qualche busta di thé, delle scritte, una targa, delle vecchie brande con spesse coperte di lana. Sei, otto posti di norma, a volte anche solo quattro. Una targa, una foto dell'alpinista cui è intitolato, null'altro.
Mentre aspetto Nico, che si era fermato un attimo a respirare mentre io ero preda della foga del salire, appoggiata la schiena alla macchia rossa che chiamano bivacco Borghi, la nebbia si dirada e sotto il blu improvviso del cielo appaiono i ghiacci aggrappati alle rocce. E io, che sono solo e ancora affannato, vengo preso forte dall'euforia, vado di qua e di la, non riesco a stare fermo, come fossi un bambino che vede il suo primo parco giochi.
Sento forte questa esigenza di salire, che sia la conquista del colle, del bivacco o della cima. Poco importa. Quello che conta è salire, affannarmi, usare mani e bastoni, guardare oltre, guardare dentro, guardare attorno. Che sia montagna, meglio se alta, altissima. Voglio l'odore della quota, ne voglio il sapore mentre mordo carne secca.
Lontane le ruote, lontano l'agonismo, le sfide, i fuori soglia, il mio mondo avuto per anni. Io, i miei bastoni, le scarpette, i ramponi nello zainetto con poche altre cose, meglio se con Nico, Ele, ma anche solo, quel che conta è salire più forte che posso e vedere oltre. Per scendere e soffrire i dolori del corpo e della mente c'è sempre tempo.
BikerForEver
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