domenica 14 novembre 2021

LA COLPA


 

Quando ero bambino, ed ero parecchio grasso e sfigato, da buon figlio unico passavo per benestante e viziato. Ma in realtà a casa non era proprio un idillio famigliare, e tra fumo, alcool e urla il sottoscritto finiva sempre per sentirsi in colpa. Non devi essere certo un luminare della psicanalisi per capire che un bimbo che vede litigare di continuo i suoi genitori pensa che sia tutta colpa sua. Se poi ci si mette la questione che venivo sgridato e messo in punizione ogni due per tre, la frittata è fatta.

Questa storia del senso di colpa è diventato nel tempo il mio lineamento caratteriale principale, ma la fortuna ha voluto che si sviluppasse anche una sufficiente porzione di umiltà da accettare, già avanti con gli anni, di farmi oltre dieci anni di psicoterapia per capire e superare la struttura del mio senso di colpa. Non che ora non ci sia più, i giochi si son fatti i primi anni di vita e ormai non se ne esce, ma non ne sono più succube, lo gestisco, lo amministro e posso fare le mie scelte, libere, senza alcun rimorso. E ho imparato, e capito, a pagare il prezzo delle scelte senza colpevolizzarmi, sereno e cosciente.

Ora, il tema della colpa è diventato inaspettatamente di moda in questi ultimi due anni, quelli del virus che ci dovrebbe uccidere tutti, ed invece ammazza quasi solamente poveri vecchi per lo più già malati. Qualcuno che sa bene cosa è il potere, e che ha studiato decisamente meglio degli altri come funziona il meschino gioco della colpa, è riuscito a creare nel pollaio la zizzania con grande maestria.

Nell'ordine cronologico che mi ricordo, e sono certo che perderò qualche pezzo perchè ormai sono un pò avanti con gli anni, la colpa dell'epidemia, è stata di questi soggetti:

1. Del paziente zero

2. Dei ciclisti

3. Dei runners

4. Di quelli che andavano da soli in un bosco o in una spiaggia deserta (li associo per follia)

5. Dei giovani in vacanza

6. Degli italiani che andavano in vacanza col bonus vacanze per andare in vacanza

7. Di quelli senza mascherina all'aperto

8. Dei ristoratori e dei loro clienti che non potevano andare a ristorante in zona rossa e multicolor

9. Di chi va in palestra o in piscina, che erano chiuse per le zone rosse e multicolor

10. Degli sciatori con le piste da sci chiuse

11. Di chi festeggia la Nazionale in piazza

12. Di chi non si vaccina con la prima dose

13. Di chi non si vaccina con la seconda dose

14. Di chi non ha il greenpass, ma se lo fa dare ogni 48 ore facendosi il tampone

15. (in futuro) Sarà di chi non fa la terza dose perchè ha capito il gioco a cui stanno giocando.

Nello scannarsi della gente attaccando via via una o l'altra categoria di supposti untori (ah, ho dimenticato, la colpa è stata anche dei bambini a scuola), gente comandata come in un teatrino di burattini siciliani dai fili tenuti nelle forti e grandi mani di chi sta orchestrando questo capolavoro di rivoluzione socio/economico/culturale, ben pochi, quasi nessuno potrei dire (ma non sono informatissimo quindi non esagero) ha considerato che qua di colpa non ce n'è nel popolo, nella gente comune, insomma in quella fetta che trova modo di campare in qualche modo a sto mondo e che rappresenta direi almeno il 95% degli abitanti del pianeta.

Insomma, qua il maiuscolo serve perchè va gridato, NON E' COLPA NOSTRA O VOSTRA. Non c'è l'untore, il colpevole, lo sciagurato. C'è semplicemente un grande orchestratore, che sembra tanto ispirato dal modello che da sempre la stessa gente che ora si scanna criticava pesantemente, ovvero quello cinese. Si chiama controllo e la sua compagna si chiama ubbidienza.

Controllo e ubbidienza. Ubbidienza e controllo. E il burattinaio è stato talmente abile a tirare i suoi fili che ora direi che si potrebbe chiamare anche autocontrollo e autoubbidienza. Gente che controlla altra gente, e gente che ubbidisce o chiede che la si faccia ubbidire. Tutti sotto il grande cappello della colpa, del Grande Senso di Colpa.

Io per prima cosa urlo ogni giorno contro la democrazia di questo Paese che se ne va. Urlo per la libertà sempre maggiormente ridotta. Urlo per una Costituzione continuamente violentata. Urlo e mi rassegno davanti a qualcosa di immensamente più forte di me, ma che ha vinto. L'era del Controllo e dell'Ubbidienza è arrivata.

Peccato che quasi nessuno provi a fare sinceramente, approfonditamente, umilmente, mettendosi realmente in gioco, una decina d'anni di psicoterapia. O anche venti, o forse trenta che è meglio.

Io non ho più sensi inutili di colpa, è da un pò che sono veramente libero. Vi regalo la vostra ubbidienza al controllo, io come nella scena finale del film che più ho amato, lascio a voi la vittoria, ma almeno non sarò vostro complice.


BikerForEver

martedì 22 giugno 2021

L'EMOZIONE DEL MERDESIMO



E' da un pò che sono in cresta, spesso nella neve. Per fortuna hanno tirato delle corde nei passaggi più esposti, che stanco come sono non mi sento in totale equilibrio. I bastoni ripiegati sono nello zaino come da regolamento per questo lungo tratto in quota. Attorno lo spettacolo delle altre montagne innevate nonostante l'estate è appagante. Arrivo all'inizio del punto che temevo, un ragazzo del soccorso alpino attende paziente ognuno di noi. Lo spiazzo sotto la parete è largo, nessuna paura, ma il salto di roccia è alto, e anche se ci sono le catene non è banale. Si devono usare gli anelli per le corde della ferrata come gradini, altrimenti non si sale. Ma il primo anello di ferro è quasi altezza della mia spalla, tiro su la gamba tenendomi alla catena ma mi viene un crampo. "Vengono un pò a tutti oggi, con sto caldo, rilassati e riprova" mi dice il ragazzo., Ok, 30 secondi e riprovo, altro crampo forte, mi toglie il respiro. Dai riprovo, e siamo al terzo crampo. Piegato a 90 gradi, cercando di rallentare la respirazione, mentre passa qualche concorrente, gli dico "mi sa che mi ritiro, non me la sento".

"Dai usa il mio ginocchio come primo gradino" e mi porge la gamba un pò piegata, ci metto su il piede, prendo forte la catena fra le mani e mi tiro su, e vado. Sono 50 metri di dislivello, ma verticali ed esposti, per cui continuo senza guardare sotto, forse dimentico persino di dirgli grazie. Ma so che lo avrei abbracciato per riconoscenza.

Continuo a tenermi alle catene che si succedono mentre mi arrampico, sono solo a 2700 metri ma mi gira la testa, anche perchè sono oltre 4 ore che sono partito da Livigno. Mentre mi tiro su più di braccia che di gambe, penso forte a quelli che sono passati qua molto prima di me, andando come fulmini senza nemmeno badare al vuoto, quasi senza fatica. Penso a tutte le imprese eccellenti e incredibili che leggo ogni giorno, a penso a me, che mi tremano le gambe e ho l'ansia alle stelle in un passaggio di primo grado, che corro come un paracarro e vado la metà di loro che volano. Penso a tutto questo e salgo il salto di roccia, e ricomincio a correre lentissimo sulla cresta.

Sto scendendo e rivedo un paio di persone del soccorso alpino, ho capito che ci risiamo, ma questa volta in discesa e a me piace sempre molto meno. "E' tanto esposto?" chiedo affacciandomi e prendendo la catena stretta nella mano, mentre un signore dai capelli bianchi mi sorride "vai tranquillo". Mi giro un attimo faccia alla roccia e scendo, dai che è andata molto più in fretta del previsto, ed entro in un canalone di neve stretto tra due alte pareti che sembra non finire mai. Cado, scivolo, affondo, gli occhi sono accecati dal riverbero del sole e sono solo. Più nessuno davanti, più nessuno dietro, mi chiedo se sono davvero l'ultimo oggi. Mi sento un pò come anni fa all'Iron quando caddi scendendo dallo Chaberton e mi ritrovai nella solitudine totale.

Eppure nonostante la stanchezza, i crampi, le gambe molli e gli occhi accecati, mi sento bene. No anzi, mi sento davvero, molto bene. Attraverso un ruscello per attaccare l'ennesima salita e mi sento molto meno stanco di prima, quando salendo il Monte Mot ero molle e rassegnato. Le energie ci sono, i crampi sono sotto controllo, ho mangiato e bevuto e attorno gli occhi vedono solo bellezza. E soprattutto vedo altri runner li sopra e vedo che più salgo e più diventano vicini.



Guardo il Garmin, sono 35 chilometri che corro su queste montagne e ne ho scalate cinque oggi. Ho salito 2700 metri di dislivello e ho sempre recuperato posizioni nelle ultime 3 ore, e ancora corro. Goffamente, pesantemente, lentamente ma corro, e mai avrei pensato di poterlo ancora fare a questo punto. Sono 7 ore e passa che giro. Vedo la ciclabile che mi porta allo stadio di atletica di Livigno e vedo Ele, finalmente, che dopo aver terminato il percorso corto è venuta con la sua bici ad aspettarmi ai meno 2 dalla fine. Sorrido, felice, appagato, raggiante. Corro lentamente con lei accanto che pedala, ma corro e parlo, sono un fiume in piena. Quando la vedo prima del traguardo sono sempre euforico, potrei dire che fatico per ore solo per questo istante.

Entro nello stadio e passo sotto l'arco di arrivo della mia prima Skyrace, questa Livigno Sky Marathon che credevo molto meno complessa. Penso a chi, volando leggero a sfiorare i sentieri, è arrivato ore prima di me, correndo con eleganza e veloce. E penso al mio goffo incedere dell'amatore merdesimo, alle tante guide alpine lassù per ore ad attendere quelli come me che arrivano dopo ore dal primo, e che hanno la pazienza di dirgli pure "bravo, grande, dai che vai bene" e di dargli da bere o una mano, o magari un ginocchio per partire a scalare. E tutto sommato non mi sento così a disagio.

Siamo partiti in 320, siamo arrivati in 196 nel tempo massimo. Io sono arrivato 149esimo e 12esimo dei vecchi over50. Ho cercato di correre, e ho faticato come un disgraziato per 7 ore e 25 minuti, prendendo oltre 3 ore e mezza dal primo strepitoso skyrunner. Eppure ero emozionato come un bambino.


BikerForEver









lunedì 31 maggio 2021

TUTTO E NULLA

Sono sdraiato sul divano, con il telecomando cerco qualcosa da guardare su Netflix. Ho mal di testa, un mal di gambe difficile da sopportare e la gamba sinistra è appoggiata a due cuscini in modo da tenerla bene in alto. Sulla caviglia, gonfia e dolente, un bel pò di ghiaccio.

Il morale non è dei migliori, ma con tutte le grane infinite della mia esistenza normale, quelle sportive appaiono ormai decisamente marginali e gestibili. Certamente togliere per un pò la valvola di sfogo dell'agonismo e della sua preparazione scoccia, ma bisogna sapere accettare le cose.

La prima domenica di maggio ho corso a piedi il Rensen, ad Arenzano, un 30 km a piedi per 2000 metri di dislivello. Poi due domeniche dopo sono tornato a correre dopo due anni in bici alla South Garda, visto che, cosa rara nel nostro Paese, si poteva fare con la gravel in mezzo ad un migliaio di biker assatanati. Così preso da questa folle polivalenza, subito dopo sono andato ad allenare di nuovo la corsa in montagna e sabato, ovvero ieri, scendendo dal Bec d'Ovaga con Elema ho preso una distorsione alla caviglia tremenda, causata dalle gambe troppo stanche. Così dopo essermi trascinato zoppicando per qualche chilometro, ho capito arrivato al furgone che la frittata era fatta.

Potrebbero esserci molte cose da dire. Che forse 55 anni sono tanti per fare queste cose per poi lavorare in campagna per ore ogni giorno, oppure che forse ho sfruttato un pò troppo il mio fisico per 30 anni e adesso è stanco, oppure che quando hai mal di gambe dovresti riposare, oppure che corsa e bici, se gareggi, ti stressano troppo il corpo, oppure che è solo sfiga.

Di fatto so solo che faccio quello che mi piace, e a me piace usare il corpo sempre e completamente. Mi annoio a riposare, mi annoio a stare tranquillo. So benissimo che troppo presto mi dirà basta, non ne posso più. Ma non mi interessa conservare forze per un domani, una vecchiaia, o che so io. Vivo l'oggi, e il resto non conta.

Farò fatica ad attendere di guarire, ma almeno questa attesa è inevitabile. Dopo due giorni fermo mi sembra di non aver mai fatto sport. Ma è l'unica via per salvare la possibilità di andare ai due trail che avevo scelto in giugno per fare altre, nuove e diverse, esperienze. 

In fondo non si finisce mai di imparare, e di crescere.


BikerForEver















mercoledì 10 febbraio 2021

L' ARTE DEL RIPETERE



Ho appena scollinato lo strappone che immette nella Valnontey. Nonostante sia alquanto affaticato oggi, ne ho superati due. Un tipo e una ragazza giovane con il 94. Mi infilo in fretta nelle corsie e mi metto a uovo per la breve e veloce discesa, e prendo fiato. Lascio scorrere più che posso gli sci ed inizio a spingere nei binari.

Passo il ponte del paese e inizio i 3 chilometri di falsopiano che portano a Valmiana, dove poi si gira sull'altro lato della valle e si inizia la lunga discesa verso Cogne. Le nuvole sono basse, è assurdamente umido per questo posto dall'aria sempre secca e fredda, ma tanto conosco questa valle a memoria, potrei salutare ogni albero che incontro. E' un luogo magico in qualsiasi stagione, ma nell'inverno è una pista per il passo classico dello sci di fondo assolutamente magica, con le sue pendenze dolci che ti permettono di spingere con costanza nei binari sempre presenti, e di cercare di sciare bene.

Il passo classico è un gesto complesso, a continua ripetizione. Mi concentro, so che devo concentrami molto per trovare la scorrevolezza che voglio. Ho sbagliato sci stamattina, non mi sono fidato di quelli da gara preparati con le klister dal buon Ezio e ho ripiegato su questi Fischer scagliati di vecchia data, che davvero non ne vogliono sapere di andare avanti oggi, nonostante la paraffina fluorata messa su punta e coda. Però non mi rassegno, osservo la ragazza con il 94 che mi ripassa e tento invano di tenere il suo ritmo. Scorre almeno il doppio, dannazione. Smetto di guardarla e mi concentro su me stesso, e come sempre in questa meravigliosa disciplina perdo totalmente il contatto con la realtà, iniziando a ripetere e ripetere e ripetere lo stesso gesto, nella speranza di aumentare la velocità. Le braccia alternano le gambe come nella corsa, cerco con il piede avanti di trovare la presa di tenuta sotto lo sci e spingere, lascio andare la gamba indietro morbida e che si alza da terra, mentre le braccia puntano i bastoni innanzi al corpo per poi una alla volta anch'esse lasciarsi andare all'indietro, morbide. La schiena si inarca, le anche fanno una piccola rotazione a cercare la maggior spinta, e mi sento come sempre volare. A ogni ripetizione, ogni pochissimi secondi, di tutti questi movimenti, sento dentro di me la serenità scendere lieve a coprire tutto e tutti. Come fosse neve.

Gli sci non scorrono come dovrebbero, sono lento e al giro di boa su a Valmiana diventerò ancora più lento nella lunghissima discesa tutta da spingere che porta all'ultima durissima parte che risale prima a Silvenoire e poi porta su in Valley, oltre il famoso pietrone. Eppure il ripetere continuamente questi gesti ritmici mi rende assolutamente felice.

Non so quante volte ho fatto la Marcia Granparadiso su a Cogne. Forse la prima volta era il 93 o 94, ero decisamente sovrappeso, avevo un folto pizzo ed ero avvolto in una buffa tutina di lycra viola e rosa ed arrivai distrutto in preda ai crampi. L'unica cosa che so per certo è che dal 2007 ho partecipato dieci volte, più tutte le tre del venerdì a skating in questi anni organizzate. Una ripetizione continua senza alcuna pretesa prestazionale, in un gesto, quello del fondo a classico (ma anche a skating), che mi vede davvero impacciato, lento e alquanto inadeguato.

Eppure questa continua ripetizione della sfida, e del gesto infinito nei quasi 40 chilometri per la valli di Cogne, è un sottile piacere che spero di non smettere di assaporare troppo presto.

Grazie di cuore a Elema per le foto, meglio di qualsiasi servizio.


BikerForEver














martedì 2 febbraio 2021

LEGGERE E SCRIVERE


 Non ho voglia di scrivere. Dopo molto tempo, non saprei dire quanto, non ho alcuna voglia di sedermi e di mettermi a scrivere. Ho sempre avuto l'esigenza emotiva di comunicare a me stesso, a chi ha voglia di perdere dieci minuti, a qualcuno di non ben definito, quello che penso. Spesso inutile, sempre di parte, quasi mai positivo, o divertente, o piacevole. Eppure emotivamente necessario.

Non so se sia la stanchezza, la delusione per la svolta che il mondo si è dato, per la netta sensazione di impotenza che mi pervade ogni qual volta accedo ad una qualsiasi notizia. Inerme, triste, spaesato, arrabbiato, con emicranie sempre più frequenti, mi chiedo per quale motivo schiacciare i tasti di questa vecchia tastiera del mio pc portatile.

Eppure ho appena corso la mia prima gara di questo nuovo anno, nonostante "l'emergenza", nonostante "i protocolli", nonostante "i lockdown, le zone gialle e rosse, i controlli, le autocertificazioni" e tutte le altre stronzate che questo mondo di autentici pazzi e sfigati si è inventato. Una gara di una disciplina non mia, e che ho fatto per la mia sola seconda volta, nonostante sia ormai nelle mie 55 primavere.

Ho corso a Cogne, come l'anno passato, il winter triathlon, dove prima corri a piedi, poi con la mountain bike e poi con gli sci di fondo stando sempre sulla neve, sempre fuori soglia, sempre vedendo gente troppo più brava e capace di te, sempre al freddo. Se la prima volta erano stati i campionati italiani assoluti, domenica erano i campionati italiani a squadre. Poco conta, poco cambia. O nulla.

Ho come sempre dormito abbastanza bene la notte prima, male quella dopo. Ho avuto le mie solite diarree isteriche per l'ansia, potrei correre mille anni senza cambiare mai. Ho fatto la solita colazione di sempre, mi sono vestito senza alcun dubbio, sono andato con Elema giù nei prati di Sant'Orso come tante altre volte, ho posato le cose, ho cercato di scaldarmi contro voglia, mi sono messo in fondo per partire tra gli ultimi sentendomi inadeguato come ogni volta, mi sono sentito troppo datato per queste cose.

Dopo meno di dieci secondi dal via, mentre correvo a piedi, cosa che faccio davvero malissimo e lentamente, ho avuto la netta sensazione di non potercela fare, già in affanno e stanco. Ma come sempre piano piano ho poi continuato, cercando anche di non demordere, per poi pedalare, per poi sciare, per poi finire e correre a prendere la videocamera per fare un piccolo film a lei che stava per arrivare poco dopo di me.

Dovrei essere qua a scrivere del mio quarto posto di categoria, tra un gruppetto di dieci datati personaggi, di una prestazione inaspettata e ben oltre le aspettative. Ma non ne ho voglia, e l'unica cosa che ricordo è che avrei preferito essere terzo. Ma che ho anche pensato che la medaglia di legno per me che uso la motosega quasi tutti i giorni era alquanto azzeccata.

Avrei voluto qualche foto bella e clamorosa di pieno gesto atletico. Ma forse è meglio così, quel goffo individuo con il numero 79 che cerca di correre in fondo sono io. E sarà bene che me lo faccia piacere.

Non ho voglia di scrivere, eppure alla fine mi sono messo a farlo. Male come non mai. Spero mi torni. Dubito qualcuno abbia ancora voglia di leggere. Ma la insopprimibile vanagloria me lo fa sperare ancora. Mi sono messo a gareggiare di nuovo, spero la voglia non mi passi, per quanto male possa farlo.


BikerForEver